Dimenticare significa tradire.

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 Episodio 1.  Аgosto 1973

Episodio 2.  12 anni. 1968

Episodio 3.  Scuola № 63

Episodio 4.  Villaggio dei nonni.

Episodio 5.  Penisola Crimea, Miskhor-Кoreis.

Episodio 6.  Televisione.

Episodio 7.  Malattia della madre e dimissioni dal lavoro.

Episodio 8.  Esami all’Università.

Episodio 9.  Ricerche di lavoro.

Episodio 10. LEEVG.

Episodio 11. Dacia.

Episodio 12. Tallinn.

Episodio 13. Мadre.

Episodio 14. Pratica №.

Episodio 15. «Eredità pericolosa».

Episodio 16. Lettera a Putin.

Episodio 17. Kuropaty, 1937. 77 anni dopo.

Episodio 18. Riabilitazione.

Episodio 1. Аgosto 1973

Аgosto 1973. L’aula con vista sulla piazza di Lenin. Dalla finestra si vede il Palazzo del Governo e la Chiesa. Sto facendo gli esami alla facoltà di biologia dell’Università di Minsk. Primo esame – il tema. L’argomento – scrivere sulla guerra. Scrivo sulla vita del poeta Musa Cälill’, appunti dalla prigione tedesca, dai Quaderni di Moabit, consegnata tramite gli amici in patria, prima di essere ucciso. Scrivendo il tema, sto citando qualche pezzo delle sue poesie. Una delle poesie narra dell’uomo che sta finendo la sua vita in prigione, è un grido del poeta che urla dalla prigione delle sue due piccole figlie, grido pieno di amore e di dolore per il loro destino…

Ottengo «5», «ottimo», voto più alto.

Episodio 2. 12 anni. 1968

Ho 12 anni. 1968. Sono a letto nella camera di passaggio nel nostro appartamento vecchio in stile khrushevsky in via Kedyshko. Ho la febbre alta. Sono ammalata, sembra di morbillo. La maggior parte del tempo dormo. Qualche volta mi sveglio per i rumori. La porta si è aperta e mi sono svegliata di nuovo. Questo mio padre è arrivato dal lavoro per pranzare. Sento che non è da solo, ma con un collega. Vanno in cucina e a voce alta discutono di qualcosa. Magari mi sembra solo che parlino a voce alta – ho la febbre alta. Non mi guardano e mi addormento di nuovo, pensando nel sonno. Perché ho un PADRE COSI’. Tutti hanno padri come padri, comuni mortali o illustri- Io mi vergogno del mio.

A casa la situazione è tesa. Mia sorella è ancora piccola, ha 8 anni e non capisce. Ho finito la scuola elementare e sto facendo la 1 ma media, 5 to anno di scuola.

Ricordo poco della scuola elementare, a parte che stavamo studiando la calligrafia e dalla mia penna spesso cadevano le macchie d’inchiostro, tentavo di cancellarle ma rimanevano macchie ancora piu’ grandi e la maestra delle elementari, Antonina Ilinichna Volia, mi riduceva i voti. Antonina Ilinichna zoppicava e camminava con il bastone. Lei non mi piaceva molto – era troppo severa. Inoltre non mi piaceva che quando andavamo a casa sua – Lei abitava in una casa a due passi dalla nostra, come anche la mia scuola a 2 minuti di corsa, – la maestra parlava in modo insolente con la sua vecchia madre, malgrado ci fossimo noi alunni nella stanza. Mi si è stampato nella memoria questo particolare spiacevole. Ma puo’ essere che lei avesse le sue ragioni.

Nella scuola media era tutto diverso. La classe è stata sciolta, qualcuno è rimasto e sono arrivati alunni nuovi, è arrivata anche una maestra nuova, lei si chiamava Liudmila Savelievna Koliada, e per ogni materia c’erano insegnanti diversi.

Alla scuola elementare io non capivo ancora se mi piaceva studiare e cosa esattamente mi piaceva. Mi piaceva scendere nella cantina, dove era situato un piccolo negozietto della scuola. Là vendevano carta, penne, inchiostro e diversi articoli di cancelleria. Nel negozietto c’era sempre un odore particolare, l’odore di carta imballata. E proprio questo odore di carta bianca sulla quale non era scritto ancora niente, mi attirava molto…

Nella scuola elementare spesso rimanevo fino tardi, dopo scuola – la si mangiava e si poteva con calma fare i compiti. La nostra famiglia stava bene economicamente, molto meglio degli altri, per come potevo giudicare con la mia esperienza da 12-enne… Ma io non volevo andare a casa. A casa era tutto molto teso.

Nella 1 ma media il doposcuola non c’era più e i compiti li dovevo fare a casa. Per questo motivo li facevo molto veloce. Abitavamo al primo piano e miei amici del cortile mi chiamavano fuori per giocare. Dicevo a mia madre che avevo già fatto tutto e con urla da indiano mi buttavo in cortile.

Nel cortile avevamo tanto da fare. Amavamo giocare a «campana» – si disegnavano sull’asfalto i quadretti, che venivano numerati e si saltava su una gamba dal quadretto al quadretto. O si giocava a nascondino: qualcuno chiudeva gli occhi e contava fino a cento, gli altri in quel momento si nascondevano, dopodiché quello che contava apriva gli occhi e andava e cercare quelli nascosti. Abitavamo nelle case di costruzione in stile Khrushov. Tutte le case erano progettate in modo parallelo l’una verso l’altra, a distanza di circa 50 metri tra di loro. Davanti ad ogni casa c’era un’aiuola, senza recinzione, con i fiori e gli arbusti, dove crescevano phlox, cosmea, camomilla, qualche albero. A sinistra c’era la via Kedyshko, a destra – terreno vuoto in stile Nevada. O si giocava agli indiani – ci vestivamo in modo strano, sceglievano il nostro Ozeola, capotribu’ dei Seminoly e dichiaravamo la guerra ai bianchi.

Quando nel cortile c’erano solo le ragazze, saltavamo con la funicella: due tenevano la corda lunga circa 5 metri e la giravano, nel cerchio a rotazione entravano le ragazze e saltavano nel cerchio formato dalla corda che ruotava. Questo gioco era difficile – dovevi essere molto abile a saltare dentro.

Con la nostra compagnia di ragazze ci piaceva molto nasconderci nell’arida Nevada. Si facevano i buchi dentro la terra, dove si creavano composizioni con i fiori, chiusi una volta fatto “il bouquet” con il vetro e la sabbia. Dopo qualche tempo i fiori si seccavano e cosi si otteneva un quadro-erbario. Mettevamo i segni per poi trovare i nostri “segreti”, cosi si chiamava il gioco, si toglieva la sabbia per ammirare le nostre «composizioni artistiche».

In primavera nel deserto Nevada si rompeva il ghiaccio e cominciavano a fluire piccoli ruscelli. Facevamo le navette di carta e mettevamo sui ruscelli, correndo di seguito per osservare il loro movimento.

Nel cortile c’erano gli hooligans, un piccolo gruppetto di ragazzi di famiglie di non buona reputazione. Gli hooligans si divertivano fissando le scatole di metallo alle code dei gatti. I gatti impazzivano dal rumore delle scatole e correvano sul deserto, cercando di toglierli. Noi con gli hooligans non avevamo amicizia e correvamo dietro ai gatti per salvarli.

Un giorno giocavamo nel cortile, come al solito. E’ arrivata la macchina del pronto soccorso. Si è fermata di fronte al nostro portone. Dalla macchina sono usciti due infermieri e sono entrati nel portone. Ho smesso di giocare, mi sono fermata guardando l’entrata del portone. Avevo già un brutto presentimento.

Dopo circa 15 minuti gli infermieri sono usciti dal portone, portando sotto le braccia il mio padre. Lui era vestito con una camicia di forza. Mia madre aveva chiamato gli infermieri di nuovo. Hanno portato mio padre nel manicomio. Ho ripreso a giocare. Ma non avevo più l’ umore. Tutto il cortile sapeva che ogni tanto mio padre veniva messo in quel posto. Ma nessuno dei miei amici mi ha mai detto una parola.

Portavo questa ferita in fondo al cuore.

Episodio 3. Scuola № 63

Al 5 o anno ci conoscevamo l’un l’altro. Si stabilivano le prime simpatie. Le antipatie dirette non c’erano nella classe. I banchi erano scelti in base alle simpatie. Ho scelto il posto con Tania Krayko, a destra, vicino al guardaroba. Tania abitava nel palazzo vicino a casa mia, andavo spesso a casa sua e siamo diventate amiche. Dopo la scuola Tania è diventata ingegnere per la costruzione dei ponti e delle gallerie. Dietro di me si era seduta Lena Fadeeva, era molto forte in matematica. Dopo la scuola Lena ha ottenuto la laurea all’Istituto Radiotecnico specializzandosi in sistemi automatici ed è rimasta in cattedra ad insegnare.

Vicino la finestra c’era il banco di un’altra Tania, Аghejcenko, anche lei era forte in matematica e dopo la scuola ha proseguito gli studi alla facoltà di fisica e matematica. Tania era seduta vicino a Natasha, con lei facevamo le gare di corsa. Davanti a loro c’era il banco di un’altra Tania, Galitzkaja, – lei è diventata un medico.

Abbiamo creato il gruppo degli intellettuali della nostra classe, per la maggior parte ragazze, ma poi sono stati accettati anche alcuni maschi. Nella classe regnava una mentalità positiva e ci siamo immersi nello studio delle materie.

Tra di noi alunni non c’era molto interesse per la posizione sociale dei genitori. Sapevo che i genitori delle mie amiche di classe erano ingegneri, la madre di un’altra compagna, come la mia, lavorava alla TV. Alcuni ragazzi venivano da famiglie con problemi, noi sapevamo di questo ma i rapporti con tutti erano sempre amichevoli. Non c’era il bullismo. Cosi sono passati 5 anni.

Qualche volta ci incontravamo a casa di un nostro compagno di classe che abitava nel palazzo di fronte alla scuola, lo stesso dove viveva la mia amica Tania, ma al 1mo piano. Igor era l’unico alunno nella classe che possedeva il proprio magnetofono a bobina e a casa sua potevamo ascoltare le canzoni appena uscite dei “Beatles”. Adoravo questo gruppo. Questa era un’altra musica – libera, intelligente che suonava dall’animo, dal cuore e dalla coscienza. Era l’anno 1968…

Ascoltavamo la musica e giocavamo ad un stupido gioco che si chiamava «bottiglietta»: tutti si sedevano in un cerchio, qualcuno rotava la bottiglia dal champagne e quella “copia” che sulla quale si fermava la bottiglia doveva andare in un’altra stanza e baciarsi. Questo gioco non mi piaceva e dicevo che non avevo voglia di baciarmi con nessuno. Erano gli stupidi giochi dei ragazzi innocenti.

Eravamo fortunati con gli insegnanti. Erano veri professionisti, sapevano come accendere la curiosità per le conoscenze. La nostra scuola era professionale e insegnava le basi delle abilità necessarie nella vita a tutti: le ragazze imparavano a cucire e cucinare, ai ragazzi venivano insegnati le basi di lavoro con il legno e il metallo e come fare elettricista. Spesso noi, ragazze, imparavamo dai ragazzi le loro esperienze acquisite o invitavamo loro al pranzo, preparato con le nostre mani durante la lezione di culinaria. La nostra scuola godeva di un ottimo livello di insegnamento dell’ educazione fisica. Avevamo due insegnanti, entrambi di origine ebrea: Lev Semenovitch Sheinkman e Mark Abramovitch Perlin. Proprio loro mi hanno instillato l’amore per lo sport che accompagnato tutta la mia vita e credo anche quella dei miei compagni di classe. Nella classe si sono distinti i leader nell’atletica leggera – eravamo noi amiche: Lena, Natasha ed io. Eravamo sprinter. Correvamo anche sugli sci di fondo fuori città. Eravamo felici di bere una tazza di caffè caldo dalle mani dei nostri maestri sportivi dopo la corsa sciistica! Loro portavano la classe anche in piscina, insegnavano di nuotare correttamente e questo amore per il nuoto l’ ho mantenuto tutta la mia vita.

Gli insegnanti nella classe erano per la maggior parte donne. C’era un altro uomo, l’insegnante di musica. Si chiamava Valerij Ivanovitch. Veniva alle lezioni con la fisarmonica, in qualche modo assomigliava ad Elvis Presley. La nostra compagnia delle ragazze subito si è unita attorno a lui. Ci incontravamo nel locale della mensa, dove era situato anche un pianoforte e cantavamo le romanze russe.

Nello stesso locale della mensa qualche volta si organizzavano le serate di ballo. Suonava una musica lenta, per la maggior parte valzer e tango, o qualcosa di più veloce, tipo twist, ma la musica in stile “Beatles” ufficialmente non era benvenuta. Le ragazze si mettevano lungo un muro, i ragazzi – lungo l’altro muro. Con i primi suoni della musica i ragazzi cominciavano lentamente ad attraversare tutta la grande sala verso il muro delle ragazze per scegliere chi invitare a ballare. Non mi piaceva stare attaccata al muro ed aspettare che mi scegliessero. Perciò non andavo alle serate scolastiche di ballo.

Quasi tutte le ragazze della classe avevano un’istruzione musicale di 7 anni, dai 7 ai 14 anni. Io frequentavo la scuola di musica al Palazzo delle Unioni Professionali. Era un edificio vecchio in stile barocco, di costruzione comunque post-bellica, con tante sale colorate con tonalità pastello di colore azzurro o rosa, con i soffitti alti di circa 5 metri e una bella stuccatura ornamentale. Le lezioni non costavano molto, 7 rubli al mese e praticamente tutti potevano permettersi di pagare questa somma per le lezioni.

Non sono stata fortunata con il maestro, e non mi piaceva molto suonare pianoforte, può darsi che la colpa fosse la nostra situazione a casa – mi sentivo «ghiacciata» e chiusa dentro i nostri problemi domestici e per fare uscire fuori la mia vera identità doveva ancora passare molto tempo…

А scuola di musica si studiava il solfeggio e mi piaceva questa materia – si studiavano le note, si scriveva il dettato a orecchio e mi veniva anche bene. Si imparava a distinguere diversi strumenti musicali dell’orchestra. C’era un’altra materia – la letteratura musicale dove si studiavano la vita dei grandi compositori e le loro opere. Avevo un buon orecchio musicale ma la mia voce era debole, lo sapevo da sempre. A scuola di musica c’era la corale dove ho cantato per 5 anni. La corale era frequentata dai bambini che studiavano musica e cantare con loro era facile. Se qualcuno sbagliava, il maestro diceva quale nota era errata e tutto si correggeva subito. Le note avevano i nomi, la durata delle note e il ritmo venivano dati dal maestro con la mano destra: 3/4 – giù – a destra – sopra, uno, due, tre… uno, due, tre…La corale cantava a 4 voci – soprano, 2 do soprano, tenori e bassi. Io cantavo soprano.

Dopo la scuola stavamo per scegliere la professione. Le mie amiche erano forti in matematica- io ero una delle migliori a scuola in letteratura e in lingua, e questo non era strano: mia madre era giornalista, a capo della Redazione per i Bambini e Giovani presso la Televisione e Radio di Stato di Belarus.

Quando ho finito la scuola media di 8 anni, lei mi ha trasferito alla scuola № 20 con specializzazione in lingua francese. La scuola era per ragazzi VIP e, effettivamente, nella mia classe gli alunni avevano puzza sotto il naso. Anch’io senz’altro ero una bambina VIP. Ma a casa nostra la situazione era difficile. Credevo che i bambini «diamantati» non avrebbero capito cosa significava vivere con un padre costretto a toccare il fondo, anche se mia madre era una VIP.

Mia madre stava passando l’estate al mare, quando io approfittando della situazione, ho ritirato i documenti e sono tornata nella mia scuola comune dai miei compagni.

Durante gli ultimi anni di scuola avevamo la professoressa di letteratura e lingua Tatiana Grigorievna Sokol, anche lei era di origini ebree. Era molto disponibile per noi, era una maestra molto professionale, di ampie conoscenze, una persona intelligente. Spesso eravamo a casa sua, lei aveva organizzato un circolo letterario e noi, ragazze, con piacere lo frequentavamo dopo scuola. Тatiana Grigorievna era di questa guardia dei professori, con metodi miti ma severi, che sanno bene il loro lavoro, che sapevano svegliare la scintilla del desiderio di conoscere nei loro alunni. Eravamo quei “fogli bianchi” che vendevano nella cantina della scuola e sui quali lei disegnava i primi simboli grandi, buoni, eterni.

Non facevo tanta “amicizia” con la matematica, avevamo rapporti un po’ freddi. Riuscivo a fare tutte le abrakadabre algebriche ma la secchezza di questa materia non mi scaldava. Tuttavia, sapevo bene la necessità di sapere fare i calcoli nella vita e scrupolosamente risolvevo le formule. I dati del mio diploma universitario calcolati con l’aiuto della mia amica scolare Lena e con il linguaggio Fortran, erano una grande novità per quei tempi.

La chimica era qualcosa di effimero, etereo, inconoscibile… Forse perché anche per me questa materia si associava con la professoressa troppo giovane e bella. Tatiana Ivanovna era magra, bella, aveva circa 25 anni e nostri ragazzi per i quali la chimica era meno interessante rispetto alle belle gambe della maestra, le facevano piccoli scherzi e la guardavano con grande interesse dagli ultimi banchi, che si chiamavano “Kamchatka”, e lei aveva sempre le guance rosse.

La classe non so perché non sopportava la maestra di geografia e i ragazzi andavano anche a rompere i vetri della finestre nella sua casa.

Fisica per me era come matematica, la professoressa aveva capito il mio disinteresse e mi dava sempre più compiti.

Nella 9 a classe abbiamo cominciato a studiare l’astronomia, insegnata dalla professoressa di matematica, anche lei di origine ebrea. Era molto sorpresa del mio improvviso “amore” per l’astronomia. Devo dire che l’astronomia mi ha scioccato. All’improvviso mi si è aperto un mondo prima assolutamente sconosciuto, il mondo delle stelle, parsechi, costellazioni e nebulose…Il libro scolastico era piccolo e andavo in biblioteca per approfondire le costellazioni, i nomi e le caratteristiche, scoprendo il mondo del cosmo senza fine…

Episodio 4. Villaggio.

Durante l’estate io e mia sorella passavamo 1-2 mesi in campagna dei nonni, i genitori di mio padre, e 1 mese al mare Nero. I genitori ci accompagnavano a prendere l’autobus e partivamo da sole. Il viaggio era di circa 8 ore. Il villaggio si trovava a 400 km da Minsk nella provincia di Brest. Questa era un’altra zona climatica e spesso si arrivava dalla piovosa e fredda capitale in un clima caldo e secco. I genitori di mio padre abitavano in un khutor a circa 300 metri dal villaggio. Arrivando vicino al villaggio e vedendo viale dei carpini il mio cuore cominciava a battere veloce… Amavo il villaggio, la sua semplice e lenta vita quotidiana e i miei nonni. La vita in campagna era libera ma difficile. Ancora quando ero piccola i nonni mi hanno insegnato a fare qualsiasi lavoro di campagna e io con piacere li aiutavo: raccoglievo il fieno, andavo a pascolare le mucche, ho imparato addirittura mungere la mucca, segavo la legna, usavo il falcetto, tentavo di tagliare l’erba con la falce ma il nonno mi vietava categoricamente di toccarla. Prima cosa dopo l’arrivo, pulivo la casa – lavavo i pavimenti, le stoviglie e le pentole – la stagione estiva era aperta. E cominciava la vita di 2 mesi in campagna: io e mia sorella pascolavamo le mucche, si andava nella foresta per cercare i funghi e le bacche. Qualche volta scrivevamo una lettera lacrimosa ai genitori con la richiesta di inviare un pò di dolci – nel negozio di alimentari locale le caramelle non c’erano. Il pacco pieno di caramelle arrivava veloce, andavamo in posta per prenderlo e cercavamo di far durare le caramelle fino alla fine della nostra vacanza.

L’unico intrattenimento in campagna era l’arrivo del CINEMA. Il cinema arrivava una volta alla settimana. Avevamo tanti amici locali e ci incontravamo nel club per guardare il film. Dopo il cinema tutta la compagna ritornava a casa, sotto il cielo stellato, contando le stelle cadenti e discutendo il film appena visto.

In campagna parlavano dialetto locale, era un miscuglio della lingua bielorussa polacca e ucraina. Dopo un paio di giorni dall’arrivo, decodificavo il linguaggio e parlavo in dialetto.

Quando sono cresciuta un pò, ho scoperto la biblioteca locale. Per essere un piccolo villaggio di 2-3 mila abitanti la biblioteca era rifornita in modo eccellente. In questa biblioteca ho letto i migliori scrittori classici europei dal 17 mo al 20 o secolo.

I genitori di mio padre erano i contadini abbienti. Per noi l’estate era una vacanza, per loro – un pesante lavoro e periodo di rifornimento per l’inverno. Si doveva preparare il fieno per la mucca, la carne secca, fare la raccolta del grano. I nonni avevano tanta terra, dove coltivavano cereali, verdura, e avevano grande frutteto. Domenica io e la nonna andavamo in chiesa. Era la mia prima esperienza, andare in chiesa. La chiesa dentro aveva uno strano, nuovo profumo, si sentiva l’odore dell’incenso, mi piaceva questo odore e l’atmosfera pacifica della chiesa. In casa i nonni avevano un paio di icone con lunghi asciugamani chiamati “rushnyk”, che cadevano sui fianchi dell’ icona. Di solito vicino all’icona loro mettevano le nostre foto nuove appena inviate. Non posso dire che i nonni fossero molto credenti. Il nonno ha combattuto nella 1 ma guerra mondiale e ha avuto una contusione. Fino al 1939 il villaggio apparteneva alla Polonia e loro venivano considerati “abbienti”: possedevano un cavallo, una mucca, delle pecore. Il villaggio si vantava di avere piccole fabbriche che trattavano i salumi e il latte e il burro.

Dopo il 1939 il territorio è diventato sovietico, il cavallo gli è stato tolto, le pecore pure… Per avere un cavallo per portare il fieno e un pezzo di terreno dove tagliare l’erba, il nonno andava parecchie volte nel kolkhoz finche otteneva il cavallo. Per questo motivo il nonno non amava il nuovo regime. Preferiva avere tutto di sua proprietà. La nonna era una donna con un grande cuore, un pò grossa, con gli occhi azzurri e assolutamente analfabeta. Ho indagato a lungo le origini di mio nonno Nikita – lui era unico in famiglia con occhi neri, pelle scura e aveva un temperamento caldo. Dicevano che quando era giovane rubava i cavalli. Il nonno amava i cavalli.

Adoravo passare le vacanze in campagna. Era una vita semplice e libera all’aperto. Ma le vacanze finivano, partivamo dal villaggio a Minsk e ogni volta lasciavo un pezzo del mio cuore. I nonni mi amavano e io lo sentivo: mi hanno cresciuta i primi 4 anni della mia vita.

Episodio 5. Penisola Crimea, Мiskhor-Коreis.

Si tornava a Minsk e si partiva per la penisola Crimea. Andavamo di solito in treno: costava meno. Mia madre ogni anno si fermava nel sanatorio «Belarus» nel villaggio Miskhor che apparteneva al Dipartimento Medico No 4. Mia madre copriva la mansione di Capo Redattore della Redazione per i Bambini e Giovani della Televisione di Stato di Belarus ed era una persona VIP, anche se tempo fa questo termine non era in uso. Mia madre sistemava me e mia sorella in un piccolo appartamento vicino al sanatorio. I primi anni andavamo con mio padre e si viveva in una tenda vicino al mare. Poi, dopo che fu presa la dacia e il terreno, mio padre non venne più con noi.

Nel nostro appartamentino si dormiva solamente, si mangiava nel sanatorio, usavamo la spiaggia del sanatorio, come gli altri bambini delle persone VIP. Di solito ci univamo con un grande gruppo e giocavamo, o andavamo a nuotare o tuffarci dal pears nel mare. I bambini erano figli dei facoltosi avvocati di Minsk, legali, attori e scrittori. Vicino alla spiaggia del sanatorio «Belarus» si trovava la spiaggia VTO, l’Unione Teatrale dell’URSS, e spesso andavamo anche li a imparare giocare al biliardo. Il sanatorio organizzava tanti viaggi per i turisti e abbiamo visitato tutti i posti notevoli della punta sud della penisola Crimea – Il Palazzo di Vorontzov in Alupka che apparteneva al Duca Vorontzov, il Giardino Botanico Nikitskij, la città di Yalta, la Fortezza di Sudak del 14 о secolo costruita dai genovesi sulla roccia che tempo fa era un reef dei coralli, si saliva sulla montagna Ai-Petri, che proteggeva il villaggio Miskhor dalle nuvole creando in questo modo un particolare microclima secco. La sera si giocava sul territorio del parco del sanatorio a ping-pong, kegel o semplicemente guardavamo come ballavano gli adulti… Fu un bellissimo periodo e un’infanzia e giovinezza felice.

Finiva la vacanza al mare e si partiva per casa e anche se tutti i bambini vivevano a Minsk, ci si incontrava la volta successiva l’anno dopo a Miskhor.

Anche se apparentemente ero molto socievole, stavo diventando sempre più selvatica. Avevo il problema di mio padre e non sapevo come risolverlo.

Il 1 settembre si andava a scuola.

Con piacere mi preparavo al primo giorno quando si faceva “lineyka” o “righello” – lavavo i colletti bianchi, e cucivo sull’uniforme scolastica (era per tutte le ragazze uguale di colore cioccolato), acquistavo gladioli e andavo a scuola. Amavo la nostra classe e i miei professori. Ma raramente qualcuno dei miei amici veniva a casa nostra.

E’ cominciato il periodo dell’ adolescenza. Spesso stavo davanti allo specchio e facevo le facce. Non mi piacevo. Sono arrivate le mestruazioni. Nessuno mi aveva spiegato che cos’era e cosa bisognava fare. Mi sono documentata da sola.

Mio padre diventava sempre più solitario e si chiudeva dentro di se. Aveva smesso di vestirsi bene. Usava solo le cose vecchie. Era diventato tranquillo e avevano smesso di portarlo nel manicomio. Era come se tutto per lui fosse diventato senza senso.

Un giorno ho saputo che era stato registrato in una clinica psichiatrica. Сon diagnosi – schizofrenia. Aveva 42 anni. Gli «amorevoli» psichiatri ogni tanto gli fissavano un appuntamento per “fare un controllo”, ma lui non andava e buttava le pastiglie che gli avevano prescritto. Anche in questo caso madre non mi aveva spiegato niente di cosa fosse questa malattia, la “schizofrenia”. Avevo 14 anni. Ho cominciato a leggere sul tema e ho scoperto che questa malattia può essere ereditata. E’ probabile che questa “scoperta” abbia determinato il mio futuro rapporto con i maschi. E anche il fatto che essendo la figlia di uno “ufficialmente schizofrenico”, anche il mio destino poteva essere determinato. Per 14 anni questa storia era una dura noce da rompere. Non so se mia madre qualche volta abbia pensato quale destino fosse riservato alle figlie, dopo la formalizzazione ufficiale della perizia medica di suo marito. Mai con una parola lei ha parlato con me di questo.

In quel periodo a mio padre hanno rilasciato il cosi detto “libretto bianco”, che significava che mio padre, uno storico, con il diploma del migliore Università in Russia in nome di Lomonosov, poteva occupare la mansione più bassa e avere il salario più basso. Effettivamente, durante tutto il suo periodo lavorativo mio padre guadagnava permanentemente un salario minimo di 70 rubli – per non morire di fame – lavorando come fabbro in fabbrica che produceva orologi.

Episodio 6. Теlevisione.

La vita di mia madre era completamente opposta a quella di mio padre. Lei dirigeva una grande redazione, spesso conduceva i programmi dal vivo, aveva tanti amici in tutti i teatri della città, nelle riviste, giornali, tra i legali, giuristi, scrittori, attori, scultori, pittori. Lei si vestiva molto bene, aveva un parrucchiere personale televisivo. Madre guadagnava molto bene. Con gli onorari il suo salario arrivava a 500 rubli. Questo era 7 volte il salario di mio padre.

In questi anni mia madre ha creato e ha condotto insieme con il schermista Igor Smushkevitch un programma sportivo per bambini che si chiamava “Noi chiamiamo Sportlandia». Questo programma aveva un grande successo in Bielorussia tra gli alunni delle scuole. Era un gioco con due squadre che facevano gare di abilità e velocità di esecuzione di vari esercizi sportivi. Il programma andava in onda dal vivo e si faceva un concorso tra squadre di scuole diverse di tutta la repubblica per poter partecipare.

La Televisione bielorussa prestava tanta attenzione ai programmi per i bambini – questa era la strategia statale. Una delle amiche di mia madre, la giornalista Tatiana Petrova, destava la mia particolare stima. Petrova si occupava della tematica dei ragazzi difficili e, in verità, questi difficili riconoscenti ragazzi, restituiti alla vita normale, la circondavano sempre.

Tuttavia, il clima della televisione era difficile – intrighi, invidia, doppi giochi, falsità, calunnie. Mia madre aveva la lingua tagliente e spesso a casa sparlava dei suoi opponenti. I rapporti tra lei e la regista Pinighina erano insopportabili. Spesso frequentavo la redazione, conoscevo tutti e tutta la redazione conosceva me. Dopo la scuola media mi hanno proposto di lavorare come dictor ma non ho voluto proprio per questo clima difficile.

Episodio 7. Malattia di mia madre e dimissioni dal lavoro.

Nell’inverno del 1970 abbiamo ricevuto un appartamento di tre locali in via Gamarnik, e ci siamo trasferiti nella periferia di Minsk. Siamo andati a vedere la casa: l’odore della vernice fresca, locali vuoti… L’appartamento era più grande di quello in stile Khrushov. Il palazzo era in mattoni, costruito per i collaboratori della TV. Tutti i nostri vicini erano della TV. Mia madre e mio padre presero ciascuno un locale separato e a noi, me e mia sorella, rimase un locale di 12 m2. Dalla finestra del 4 piano si apriva una vista panoramica sul campo innevato. La vista era immensa e ricordava «Silenzio bianco» di Jack London. Dietro al campo si vedeva il bosco dove si trovava il villaggio Znianka. La dacia distava soli 25 km sull’autostrada di Mosca.

Ho finito il 9 o anno di scuola quando a mia madre è stata tolta la carica di Capo della Redazione. Aveva 48 anni. La sua stessa redazione ha scritto una «calunnia» e mia madre ha perso il posto. Al suo posto hanno preso la moglie di un funzionario del Comitato Centrale del partito dei comunisti.

Mia madre ha sofferto molto ed è invecchiata subito. Poi si è ammalata. Aveva colecistite ed è stata operata. Invecchiata e dimagrita, era sdraiata sul nuovo letto arabo nella sua stanza separata. Nella stanza a fianco c’era mio padre, del tutto distrutto psicologicamente. Nella terza stanza – la mia sorellina di 12 anni. Avevo 16 anni.

In seguito mia madre è stata spostata a ricoprire la mansione di dirigente del reparto di statistica nella Radio dello Stato. Lavorava vicino al mio vecchio asilo nido della TV. Il suo salario è stato ridotto fino a 170 rubli e abbiamo subito sentito questa riduzione. A casa mancavano i soldi. Mio padre economizzava su tutto, non poteva mantenere la famiglia, ricevendo il salario minimo.

Nel 1973 ho finito la scuola media e mi sono fatta la domanda – cosa fare dopo.

La strada del giornalismo era aperta – tutta la città conosceva mia madre come giornalista. Tuttavia, lei mi ha consigliato di non scegliere questa strada dicendo che “il giornalismo non è una professione vera”. A me piaceva fare modelli di abbigliamento e mi veniva anche bene, ma dovevo lasciare la città e andare a Vitebsk. Mia sorella era ancora piccola e avevo tanta pietà per mio padre…

Una volta mia madre stava preparando un’ intervista ad un giovane biologo-palombaro che era appena tornato dalla spedizione in Antartide. La trasmissione che è uscita parlava dell’Antartide…Erano tempi delle spedizioni di Jacques Cousteau, inizio degli studi sui mari e delle ricerche ecologiche. Così ho scelto l’ecologia.

Episodio 8. Esami all’Università.

Quindi, la rotta della vita è stata scelta – biologia!

Le difficoltà che hanno “accompagnato” l’inizio della mia vita adulta, hanno resuscitato le lezioni scolastiche di cucito – ho cominciato a cucire, per economizzare con l’abbigliamento. Il mio abito, per festeggiare la fine della scuola, in guipure colore cielo azzurro, era cucito con la vecchia macchina da cucire di mia madre «Veritas». Tutta la notte passeggiavamo con compagni di scuola in città, fino all’alba… Si discuteva di dove andare a studiare. Tutti erano abbastanza sorpresi quando hanno saputo della mia scelta, biologia. Non c’era niente che preannunciasse questa scelta, erano convinti che avrei scelto giornalismo.

Agosto – periodo degli esami. Alla facoltà di biologia, studio diurno, c’erano 20 persone sul posto. Ma sapevo già che non potevo andare a studiare di giorno. Dovevo andare a lavorare per aiutare mia madre e mia sorella e perché nessuno avrebbe potuto mantenermi durante i 5 anni degli studi.

Mia madre aveva un’ amica molto stretta, che si chiamava Isabella Sergheevna, o semplicemente zia Bella. Zia Bella insegnava lingua tedesca all’Università. Si sono conosciute, zia Bella e mia madre, durante uno dei viaggi all’estero, in DDR. Penso che zia Bella non avrebbe avuto difficoltà a “dire qualche parola” su di me alla commissione esaminatrice. Tentavo di fare tutto da sola, per non dipendere da nessuno, ma sentivo che mi “proteggevano”. Durante gli esami nella lista degli studenti davanti all’esaminatore ho notato dei puntini neri messi contro alcuni cognomi. C’era un punto nero anche di fronte al mio cognome.

Durante l’esame di matematica non ho finito alcune equazioni, ma l’esaminatore stava per mettermi il voto «4». Dovevo essere davvero testarda a 17 anni per dire all’esaminatore che “non merito voto “4” perché non ho fatto tutte le equazioni e mi deve mettere voto “3”, sufficiente. Mi deve sicuramente aver guardato strano, e mi ha messo il voto che avevo chiesto.

Finalmente, tutti gli esami erano stati fatti: il tema, matematica, chimica e biologia, sommando il mio alto voto medio scolastico, – mancava 0,5 per passare agli studi diurni. Ma questo era quello che ci voleva. Scrivo la domanda di ammissione agli studi serali. Comincio cercare il lavoro.

Episodio 9. Ricerche di lavoro.

Aspettavo il posto nel laboratorio di Ecologia all’Università. Ma posto non c’era e ho trovato impiego come laboratorista all’Istituto di Trasfusione del Sangue. L’Istituto si trovava fuori città, nel villaggio Novinki. Dovevo giungere nel laboratorio dall’altra parte della città, con 2 autobus. Per ironia della sorte, ma forse no, di fronte all’Istituto si trovava il manicomio dove mettevano ogni tanto mio padre finche non si era calmato.

Il personale del laboratorio dell’Istituto era benevolente, la maggior parte, erano medici. Il mio primo capo era una donna, chimico di professione, di nome Irina.

Studiavamo le sostanze che permettevano prolungare la conservazione del sangue. Il tema era attuale, ma mi attirava l’ecologia. Spesso dalla finestra guardavo il muro alto di cemento che circondava il manicomio e pensavo a cosa facevano là con mio padre…Sul manicomio giravano aneddoti che dicevano che vi erano tenute le persone che si consideravano “Napoleoni, Principi e Re”… Ma in quel posto ogni tanto portavano anche mio padre che aveva laurea superiore di uno storico, ma doveva lavorare tutta la vita come un semplice operaio in fabbrica di Orologi… Spesso pensavo a questa ingiustizia e la mia anima diventata gelida vedendo la sofferenza di mio padre, il quale non ha potuto proteggere né se stesso, né la propria moglie, né le figlie. Tutta la vita di quell’uomo, l’istruzione, l’intelletto, erano azzerati.

Schiacciati psicologicamente.

Nel laboratorio di Ecologia non c’era posto e mi hanno proposto di fare la laboratorista per la cattedra di microbiologia dell’Università, nel laboratorio di Fomichov Jurij Konstantinovitch. Ho accettato perché aspettavo il posto di assistente alla cattedra di Ecologia. Mi hanno assegnato un piccolo locale al 7 mo piano. La mia mansione era lavare la vetreria chimica e sterilizzarla in un’ autoclave. Tuttavia, dopo avermi assunta, mi hanno “aggiunto” l’obbligo di lavare i pavimenti il che inizialmente non era negli accordi. Infine, mentre gli studenti del reparto diurno studiavano e facevano la pratica nel laboratorio, io dovevo passare tra le loro sedie con uno straccio bagnato e lavare i pavimenti. Questo era umiliante. Ma ogni mese portavo a casa 60 rubli che davo a mia madre. Dopo il lavoro andavo a studiare, finivo alle 22, dopodiché un tram notturno in circa 1 ora mi portava a casa.

Il posto nel laboratorio di Ecologia non c’era. Durante la stagione estiva l’università organizzava per gli studenti una pratica di 2 settimane sul lago Narotch.

Sul lago aveva sede la Stazione Idrobiologica. Ho conosciuto subito tutti i collaboratori e mi sono prestata come volontaria per il periodo della mia prima vacanza. Mi hanno preso, facevo il «jolly», e nel frattempo imparavo le metodiche idrobiologiche: determinazione di BOD, COD, рН, О2…Mi hanno incluso nel team delle donne che facevano da mangiare al personale scientifico a rotazione.

Durante questo periodo sono nate le più buffe storie, quando si imparava a preparare da mangiare per un gran numero di persone, quando era difficile calcolare la quantità giusta di ingredienti, spesso il cibo usciva poco mangiabile e il laboratorio scherzava su di me.

Cosi sono passati 2 anni. Ho compiuto 19 anni.

Un giorno mi hanno detto che cercavano un laboratorista all’Istituto di Zoologia dell’Accademia di Scienze. Ho chiamato e mi hanno fissato l’appuntamento.

Episodio 10. LEEVG.

L’autunno del 1975 era mite e soleggiato. Al mattino, era lunedì 15 settembre, sono scesa dal tram e, almeno per 15 minuti, ho camminato sulla via oltrepassando a destra la casa degli studenti dell’Istituto Politecnico poi, lasciando a destra il cinema «Ottobre», ho attraversato Avenue Leninsky e camminavo sulla via Tipografskaya, lasciando a sinistra l’edificio del Presidium dell’Accademia delle Scienze e a destra il territorio della Clinica di Minsk No 1. Il tempo era rilassante. Attraverso gli alberi appena toccati dal colore giallo autunnale, squarciarono le luci del sole giocando negli occhi dei passanti che andavano al lavoro. Non avevo fretta, avevo tempo sufficiente per arrivare all’appuntamento, perché anche le zeppe alte15 cm mi costringevano ad un passo cauto. Gonna nera appena sopra il ginocchio, camicia chiara in stile maschile, capelli che cadevano fino alle spalle, schiariti dopo il mare, il look era modesto ma non nascondeva l’abbronzatura e il fisico. Nella testa mi giravano diversi pensieri alla vigilia dell’ingresso in un collettivo nuovo e all’idea di incontrare gente nuova. Stavo andando all’appuntamento all’Istituto di Zoologia dell’Accademia di Scienze di Minsk.

Mi ha ricevuto una donna molto bella, con profondi occhi blu e una lunga treccia sistemata sopra la testa. Avevo 19 anni, sognavo l’ecologia, le spedizioni di Cousteau e la scienza. Lei aveva circa 45 anni ed aveva le mie stesse aspirazioni. Il giorno dopo ho cominciato a lavorare. Cosi sono entrata nel Laboratorio di Ecologia degli Animali Acquatici dell’Accademia delle Scienze di Bielorussia. Sono rimasta lì per 22 anni.

Il Laboratorio era stato fondato nel 1971, dopo il trasferimento dall’Istituto dei Mari del Sud di Sebastopoli di Sushenya Leonid (Mikhailovic), noto specialista dei crostacei del plankton, egli ha presieduto l’Istituto di Zoologia e sua moglie, Khmeleva Nina (Nikolaevna), specialista degli invertebrati del bentos, ha presieduto il Laboratorio di Ecologia degli Animali Acquatici. I collaboratori del Laboratorio erano in media di 8 anni maggiori di me. Sono entrata in un collettivo scientifico benevolo, onesto, dove regnavano l’entusiasmo, la professionalità e il rigore scientifico. Qui c’era da imparare. La maggior parte del personale scientifico era nella fase di organizzazione di esperimenti, di elaborazione dei dati e della stesura delle dissertazioni. Il lavoro sulle dissertazioni di tematiche biologiche è collegato sia alle ricerche in laboratorio che sul campo. Nel laboratorio spesso si facevano esperimenti per 24 ore, da noi eseguiti in tre turni. Le tematiche di laboratorio non si limitavano ai lavori sulla sistematica e alle descrizioni faunistiche ma erano indirizzate sugli accertamenti dei meccanismi ecologici ed energetici delle popolazioni e dei biocenosi dei diversi gruppi di animali acquatici. Le ricerche sul campo venivano eseguite sia nei bacini di Bielorussia che sul territorio di tutte le repubbliche sovietiche.

Durante quasi 40 anni di lavoro del Laboratorio sono stati organizzate tante spedizioni a scopo di ricerca sulla biologia degli invertebrati acquatici nei bacini di Bielorussia, del Nord Estremo, del Medio Oriente, della penisola Kamcatka, della penisola Taimyr, del lago Baykal, del lago artificiale di Kaunas. Per più di 15 anni, dal 1980 al 1996, il laboratorio ha lavorato nella base situata sul lago raffreddante della Stazione Idroelettrica di Beloozersk, studiando la biologia e l’ecologia dei gamberetti, dei molluschi, dei bryozoi ed altri animali acquatici dominanti. Il Laboratorio ha formato15 candidati e dottori in scienze.

La scuola idrobiologica a Minsk si è formata in un periodo non facile, di persecuzioni della genetica, ed è commemorata da personaggi illustri sia scientificamente che umanamente. Tra questi scienziati bisogna nominare Georgy (Georgievic) Vinberg, noto idrobiologo, fondatore del metodo energetico nello studio degli ecosistemi degli animali. Il destino scientifico di Vinbegr era difficile. Nella vita egli è sopravvissuto ad alcune catastrofi, tra cui le repressioni di Stalin, l’arresto e il morganismo. Dal 1946, per 20 anni, Vinberg ha diretto la cattedra di ecologia alla facoltà di Biologia a Minsk. Dopo si è trasferito a Leningrado e ha lavorato all’istituto di Zoologia. Ho conosciuto personalmente il Professor Vinberg che nel 1978 mi ha consegnato un premio, insieme ad altri giovani ricercatori, per il miglior lavoro scientifico.

Khmeleva Nina (Nikolaevna) era una degli scienziati nell’URS che, per la prima volta, ha iniziato ad usare il metodo di radioisotopi per determinare la produzione primaria dei bacini idrici. Era allieva del Professore Gadin e del famoso genetico e fondatore di radiobiologia, Professore Timofeef-Ressovsky, discendente della dinastia di Rurik e Ammiraglio Nakhimov, una personalità molto interessante con un destino difficile. Dal 1925 al 1945 Timofeev-Ressovsky ha lavorato a Berlino in un laboratorio e dopo il ritorno in patria era stato mandato in esilio nei campi del Kazakistan, come rifugiato. E’ stato in prigione a Butirka, insieme con Solgenitzin, al quale faceva il corso di biofisica. Negli anni 1957-1958 Khmeleva partecipava come volontaria ai lavori per lo studio delle conseguenze dell’avaria radioattiva sugli Urali del Sud (Impronta di Miass) nel laboratorio del Professore Timofeev-Ressovsky. All’epoca, tale passo, significava non solo l’impossibilità di pubblicare i risultati delle ricerche sulla stampa scientifica aperta e avere importanti limitazioni nei contatti con colleghi stranieri, ma anche un rischio notevole, siccome l’influenza della radiazione sull’organismo umano era ancora praticamente sconosciuta. L’esperienza delle ricerche del Professore Nina Khmeleva in questa direzione è diventata attuale dopo l’avaria di Cernobyl nel 1986, quando lei ha dato un grande contributo al coordinamento dei lavori per la stima dell’impatto dell’inquinamento radioattivo sulle popolazione bentali dei bacini idrici della zona vicina alla Stazione Atomica di Cernobyl svolti nell’Istituto di Zoologia dell’Accademia Nazionale di Bielorussia.

Nel 2007 L’Istituto di Zoologia dell’Accademia di Scienze di Bielorussia è stato denominato in Centro Pratico dell’Accademia Nazionale per lo studio delle Biorisorse di Bielorussia.

Ma per fare questa mia rotta nella scienza da analista a candidato in scienze biologiche (Ph.D. in Biologia) ci sono voluti quasi 25 anni e questi erano gli anni più felici della mia vita… Ma adesso….

Quindi, mi hanno assunto in un team intellettuale, scientifico, sano. Lavoravo, di sera studiavo all’università, aiutavo mia madre e mia sorella. Mia sorella cresceva. Ha compiuto 15 anni, ed é iniziato il periodo difficile dell’ adolescenza.

Sicuramente, anche lei ha risentito della nostra pesante situazione psicologica, ma mia sorella ha reagito egoisticamente. Appena compiuti 18 anni, con le parole “qualcuno mi prende, veloce via da questa casa”, si è sposata e ha lasciato casa.

Il lavoro all’Istituto era come una boccata di aria fresca, aria di libertà.

Ma non mi lasciava la sensazione che mi «controllassero». Mi prolungavano mensilmente il contratto e solo per 1 mese e cosi per 6 mesi. Anni dopo uno dei miei colleghi mi ha confessato che con il mio arrivo all’Istituto è arrivata anche una “brutta chiamata”, posso solo indovinare da che parte. Ma a chi poteva fare male una fanciulla di 19 anni?

L’Accademia delle Scienze era un sistema di intellettuali razionali ed ottimistici. Presso diversi istituti c’erano diverse sezioni sportive e cominciato subito a praticare sport. 3 anni andavamo a fare rafting in Kayak sui fiumi di Bielorussia e dopo sui gommoni militari sui fiumi più difficili. Combinavo il Kayak con la vela.

Sul mare artificiale di Minsk, a 15 minuti con il treno elettrico, si trovava la base repubblicana dello sport di Vela. Mi sono iscritta, ho fatto il corso da arbitro e sono diventata arbitro di vela per bambini. Avevo il sogno di avere una barca a vela tutta mia. Ma in quegli anni non esisteva la vela per le donne, volevo prendere una barca vecchia, sistemarla, pitturarla e andare sul lago. Quest’ idea purtroppo non si è realizzata, ma abbiamo creato un ottimo team di arbitri di vela.

In seguito mi sono iscritta al club di alpinisti e sono andata in montagna 4 anni, raggiungendo la 2 da categoria sportiva e arrivando su una montagna alta 3’800 metri.

Al 3 zo anno di università la direzione del laboratorio mi ha permesso di studiare di giorno specializzandomi in Idrobiologia. All’Istituto ho stabilito ottimi rapporti di lavoro con tutti i laboratori. Mi sono circondata di tanti amici. Nel 1979 ho finito l’università, ho discusso la laurea e mi hanno promosso alla mansione di analista principale, e più tardi di ricercatore junior. Amavo molto il mio lavoro, stimavo e rispettavo il clima del laboratorio leggero, un po’ umoristico, ma sempre serio e rigorosamente scientifico.

Nell’ambito scientifico praticamente non c’erano persone negative, o se c’erano erano poche e noi le conoscevamo. Lavoravamo sulle tematiche governative, per il Libro Rosso di Bielorussia, il Programma Internazionale sulla Biosfera. Il periodo estivo si passava nelle spedizioni, in autunno-inverno si partecipava alle conferenze con le relazioni e spesso facevamo viaggi di lavoro.

Il tempo passava. Nel 1983 mi hanno assegnato il tema per preparare la dissertazione, sono stata assunta come dottoranda di ricerca di 5 anni e ho passato tutto il periodo estivo sulla base del laboratorio a 40 km dal villaggio dei nonni paterni.

Il contingente del laboratorio era maggiore di me di circa 8 anni, e tutti avevano famiglie e bambini. Io ero da sola e rimanevo tale, essendo una ragazza alta magra con occhi azzurri e capelli castani.

Quando mi chiedevano come mi chiamavo, rispondevo e aggiungevo che sui documenti “mio padre è uno schizofrenico”. I candidati subito sparivano.

Non c’era nessuno che avrebbe avuto il coraggio di unire la sua vita con la mia.

Mio padre non si appellava mai ai medici e non prendeva le pastiglie. Probabilmente, gli avevano tolto questa “voglia” durante la permanenza nel manicomio. Per tanti anni mi sono chiesta cosa abbiano fatto a mio padre là….

Nel 1995, quando aveva già 67 anni, si è indebolito all’improvviso, si lamentava della debolezza e abbiamo insistito a fargli fare le analisi: l’emoglobina era 30 quando di norma è 140. Nessun ospedale lo prendeva. I tempi erano post perestrojka, pesanti. Era l’inizio dei tempi in cui si vendeva tutto. Ho preso accordi con una mia amica per mettere mio padre in ospedale in Borovliany. Nell’ufficio era seduto profondamente sicuro di se, arbitro delle sorti, il medico, capo reparto di urologia. Davanti a lui eravamo sedute noi, due sorelle, chiedendogli di prendere nostro padre in ospedale. «L’Arbitro delle Sorti» ha detto che “con questa emoglobina non poteva prendere nostro padre in ospedale, ma considerando che ero una scienziata Ph.D. e mia sorella lavorava in TV, l’avrebbe accettato, ma al costo di 100 dollari”. Gli abbiamo dato i soldi. Mio padre ci aspettava in corridoio, sulla sedia a rotelle.

Mio padre è rimasto in ospedale 1 mese. Gli hanno alzato l’emoglobina, e, avendogli diagnosticato un cancro ai reni, il medico gli ha proposto di togliere un rene. Non era causale che mio padre non si fidasse mai dei medici. Non ha voluto fare l’operazione. Nella degenza dove era ricoverato anche lui, c’erano altre 6 persone. Tutte e 6 sono state operate, egli è stato asportato un rene. Tutte e 6 sono morte nell’arco di 1 mese dall’operazione.

Un anno più tardi lavoravo in fiera presso Il Palazzo dello Sport – i tempi erano duri, la scienza ha perso quasi totalmente il finanziamento. Mi ha riconosciuto uno dei medici che curavano mio padre in Borovliany e mi ha chiesto come stava mio padre. Ho detto che era nella norma. Il medico mi ha detto che, secondo lui, mio padre non aveva il cancro al rene. Aveva una ciste. Mio padre ha vissuto ancora 12 anni.

Nel 2009 io e la mia famiglia siamo stati al consolato di Bielorussia a Berna.

Aspettando il funzionario del consolato, stavo guardando una rivista commerciale in lingua tedesca. Su una delle pagine dedicate alla medicina, ho visto il medico che raccontava della sua esperienza in ambito di trapianti degli organi. Era quel medico, il capo reparto di urologia, che aveva proposto al mio padre di togliere un rene.

Episodio 11. Dacia.

Avevo 12 anni, quando mia madre ha preso un terreno dalla TV – 0,06 ettari – come in quegli anni davano per costruire una piccola casetta di legno che si chiamava dacia. Tanti conoscenti di mia madre che avevano ricevuto il terreno prima, avevano una terra di superficie doppia – 0,12 ettari. Abbiamo ricevuto il terreno nella regione di Smolevitchi a 25 km dalla città. In questa zona c’erano le dacie del Teatro dell’Opera e del Balletto, le dacie Veteran e della fabbrica Termoplast. Alla TV sono state assegnate due strisce, con circa 10 terreni a destra e a sinistra della strada. Alla fine della strada c’era un piccolo bacino acquatico, in seguito allargato e incavato a formare un piccolo laghetto. Il nostro terreno “guardava” direttamente sul laghetto. I nostri vicini erano il colonello Shevkun la cui moglie lavorava in TV, a destra c’era la dacia del poeta Roman Tarmola, e poi c’erano le dacie dei collaboratori della TV Lisa Peregud, del camerman Pronko, dei registi Tatisheva e Pinighina.

Mio padre era molto entusiasta di costruire la casetta, che fu fatta durante il primo anno. Le norme di quegli anni non permettevano di costruire una casa per uso invernale, cosi mio padre con le proprie mani ha costruito una stufa nella casetta; ma qualcuno dei vicini di “buona lingua” l’ha detto “a chi di dovere”, sono arrivati funzionari e hanno dato l’ordine di distruggerla. L’abbiamo distrutta. Nel 1986 abbiamo fatto di nuovo la stufa.

La casetta era di legno, usare i mattoni era vietato. Ero anch’io molto entusiasta della casetta, ma soprattutto mi piaceva suddividere il terreno per le zone verdi e indovinare cosa e dove si poteva piantare. Bambina 12enne ho disegnato il piano del terreno per gli alberi e i fiori, inclusa la piscina. La piscina di 1,5 м di profondità intorno al quale ho piantato i fiori, ha resistito per un anno, ma dopo l’inverno rigido, è sprofondata ed è stata convertita in una piazzola per fare il barbecue.

Mio padre ha iniziato ad allevare le api, ha piantato alberi da frutto, arbusti, l’ombra è diventata tanta e i fiori non crescevano più, sopravviveva solo l’ortensia. Cosi mio padre “tornava” alla natura della campagna dove era cresciuto. La dacia è diventata la sua seconda casa e noi non ci intromettavamo molto. In primavera io e mia madre andavamo in dacia per l’“apertura della stagione”: si lavava tutto e si faceva ordine. Weekend in dacia assomigliava ai racconti dello scrittore russo Ivan Bunin: aria pulita, a 3 km si trovava un villaggio dove si prendeva il latte fresco, nel bosco si raccoglievano le bacche e funghi, si facevo un falo’ in una grande radura in mezzo al bosco. Si andava a letto tardi, ascoltando i canti delle rane nel laghetto vicino, ci si alzava presto, con i canti degli uccellini nel giardino…Mio padre era felice nella sua dacia.

Leggevo tanto, letteralmente «divoravo» i libri, o nel villaggio dei nonni, o nelle biblioteche, o a casa di zia Bella che aveva un’ottima biblioteca.

Sembrava che mi stessi “farcendo” di informazione, tentando di capire questa vita che ha fatto del mio buono e radioso padre un lupo, cacciato nell’angolo, capire che cosa lui aveva fatto per essere schiacciato cosi, come una primitiva ameba.

La nostra casa era piena di contrasti: mia madre perfettamente vestita, donna energica, giornalista della TV e Radio dello Stato, e mio padre triste mal vestito burbero operaio con il diploma universitario della migliore Università dell’URSS di Mosca.

Non posso dire che mia madre odiasse mio padre. Penso che lei lo disprezzasse. Mio padre viveva e mangiava nella sua camera, mia madre nella sua. I miei genitori non uscivano mai insieme, solo se in dacia. Quasi nessuno frequentava casa nostra, solo la gente più vicina e i parenti più stretti. Qualche volta i miei genitori litigavano e mio padre chiamava mia madre una «prostituta politica». Noi non sapevamo niente di cosa era successo con mio padre, e né nostro padre né nostra madre non ci dicevano niente. Di notte mia madre spesso piangeva. Io lo leggevo sul suo viso che si copriva sempre di più di rughe. Ero la maggiore in famiglia e sono rimasta li per aiutare mia madre. Avevo tanta pietà di lei. Casa nostra era piena di sofferenza. Mio padre, un uomo grande e forte, alto 1,85 metri, era un uomo ferito a morte, cacciato nell’angolo più buio della vita.

Mio padre non aveva amici. Lui è diventato cosi, asociale e depresso, anche perché come poteva avere tanti amici un uomo con la “carta bianca” e la diagnosi ufficiale di “schizofrenia”- malgrado il fatto che fosse una persona assolutamente normale?

Credo che il nostro appartamento fosse sotto controllo e che le chiamate telefoniche erano ascoltate. Quando mio padre voleva parlare di qualcosa di serio, cercava il momento e usciva insieme in strada per parlare.

Da bambina volevo sempre capire, perché avevo un padre cosi umiliato e una madre cosi’ brillante. Avevo l’esempio di mia madre, di mio padre no. Avevo l’esempio di come un padre non doveva essere. Guardando mia madre, pensavo che la vita di una donna sposata almeno nei giorni delle feste e giorni dei compleanni doveva riempirsi di regali e dell’affetto del marito. Ma questo non c’era. Guardando mio padre, ero sicura che mio marito non doveva assomigliare a mio padre.

Episodio 12. Tallinn.

Quando ho compiuto 15 anni, mia madre per la prima volta mi ha mandata da sola in un viaggio a Tallinn. La sera mi hanno accompagnata a prendere il treno e la mattina dopo ero già a Tallinn, capitale dell’ Estonia.

A Tallinn viveva un compagno di scuola di mia madre. Avevano studiato in Siberia. L’amico di mia madre si chiamava Mikhail Kazakov, o zio Misha. Zio Misha era capitano di lunga corsa.

Probabilmente, mia madre ha capito la mia sofferenza di adolescente e mi ha inviato a conoscere il padre “perfetto”. Zio Misha abitava con la famiglia in un appartamento di 3 locali. Aveva due figli – Ira era 1 anno maggiore di me e l’altro figlio Yura aveva circa 10 anni. Nell’appartamento c’era il pavimento giallo e questa modernità mi ha meravigliato. Come tutta la città Tallinn.

Tallinn mi è sembrata una vera città estera. La era tutto diverso. Piccole caffetterie dove facevano caffe forte, pasticcini meringa, caramelle marzapane, provate la prima volta, il Parco della città Kadriorg dove gli scoiattoli mangiavano le caramelle dalle mani, preferendo i cioccolatini… Il primo film vietato ai ragazzi meno di 16 anni visto nel cinema locale era «Fanfan la Tulipe» con Gina Lollobrigida… Le chiese dove facevano le messe, con enormi candelabri e ceri aromatici…Il primo congresso internazionale dei battisti in una chiesa cattolica, con il servizio di traduzione simultanea in 6 lingue diverse…Ma l’impressione piu’ grande l’ho avuta dall’incontro con zio Misha, capitano di una nave di 300 metri. Questo sì che era un padre“perfetto”! Passeggiando sulla nave, toccavo diversi strumenti, il timone, la campana della nave che si chiamava “rynda”, volevo toccare anche lo zio Misha, per convincermi che non era un sogno e che padri cosi esistono davvero. Per qualcuno. Ma non per me.

Episodio 13. Madre.

La fortuna di mia madre era l’aver cominciato sviluppare la TV in Bielorussia. Era già una brava giornalista, avendo lavorato in una rivista che si chiamava “Zor’ka» per bambini a Mosca, ma in TV a Minsk ha potuto mostrare tutte le sue capacità organizzative e di giornalista.

Mi chiedevo spesso com’era veramente mia madre – una buona e attenta madre di famiglia o una falsa e despotica collaboratrice della TV. Quand’è che si è «infettata» di quel virus hollywoodiano dell’eterna giovinezza, di essere sempre bella e giovane, che con passare degli anni diventato sempre più difficile?

Mia madre è nata in Siberia in un piccolo villaggio del rione di Minusinsk. Nella sua famiglia c’erano 5 bambini. Quando è cominciata la guerra, mia madre aveva 17 anni. Suo padre dirigeva una squadra che estraeva l’oro, il suo bis-nonno, a suo tempo, era stato mandato in Siberia per l’attività rivoluzionaria. Il bis-nonno era di Kaunas e si chiamava Spiridon. Il padre di mia madre ha sposato una buriata. Mia nonna materna si chiamava Olimpiada. E’ morta giovane e non l’ho mai conosciuta, ma mia madre mi diceva che assomigliavo alla nonna Lipa – gli stessi occhi blu e a mandorla.

Dopo la guerra mia madre ha lasciato la Siberia per studiare alla facoltà di giornalismo a Minsk, dove ha incontrato mio padre. Lei aveva 31 anni, lui 27. Mia madre era maggiore di mio padre di 4 anni, probabilmente, dopo la guerra era difficile con i maschi.

I miei genitori sono partiti per Mosca. Mia madre lavorava nella rivista «Zor’ka», mio padre è stato inviato dal Ministero degli Affari Interni a studiare ed è entrato alla facoltà di storia dell’Università di Mosca di Lomonosov. Sono nata a Mosca.

Mia madre era molto vicina con la sua sorella minore Zina. Zinaida Andreevna era giurista di professione e viveva con la famiglia a Mosca. Il padre di suo marito, Viaceslav Konopatkin, era vice Ministro di Agricoltura. Eravamo spesso ospiti da loro e ricordo come quell’uomo grosso sempre sorridente faceva ridere me, bambina di 4-5 anni, cercando di grattarsi la schiena con lungo bastone. Andavamo con mia madre nel negozio di giocatoli “Detsky Mir”. La c’era un oceano di giocattoli e quando li vedevo, dicevo a mia madre “Voglio tutto”. Mia madre diceva che non si poteva avere tutto, bisognava scegliere qualcosa. Seguiva una pausa e io rispondevo: «Allora niente».

Si è scoperto che io non ho abitato sempre con i genitori a Mosca. I miei genitori mi hanno portato dai nonni paterni in campagna, dove ho vissuto fino 4 anni.

Mio padre ha finito l’università e i miei genitori sono tornati a Minsk. Mia madre ha trovato posto come giornalista in TV, mio padre é tornato al Ministero degli Affari Interni. Io sono andata all’asilo della TV. Là abbiamo cominciato a studiare l’inglese a 4 anni. Abbiamo ricevuto un locale in un appartamento comune con il soffitto alto in via di Karl Marx, di fronte al Club di Scacchi. Nel 1960 è nata mia sorella. La prima cosa che ho fatto quando la carrozzina con la bambina è arrivata a casa è stata rovesciarla. Mi hanno messo in un angolo.

Episodio 14. Pratica №.

Davanti a me – una copia della pratica archiviata. A destra nell’angolo il timbro: archivio centrale del KGB RB. Nel centro della 1ma pagina – foto in bianco-nero del ragazzo 20-enne con i grandi occhi azzurri. I capelli chiari erano sistemati all’indietro secondo la moda di quegli anni. Questo era mio padre. Sotto la foto il numero – Е-049523.

Nella partica ci sono solo 12 pagine: autobiografia, ottima caratteristica del membro del partito del Komsomol e del partito dei Comunisti, estratto dall’archivio.

Questo è tutto ciò che mi è rimasto di mio padre. La mappetta nelle mani del funzionario era grossa, ma a me, in quanto figlia, ha lasciato solo queste 12 pagine. Il funzionario, ridendo, mi ha consigliato di appellarmi al museo della Seconda Guerra Mondiale, per sapere di più dell’attività di mio padre per i partigiani.

Mio padre è morto il 6 febbraio 2007.

Dopo 7 anni ho aperto la sua mappetta…

Mikhaevitch Vassiliy Nikitovicth. Nato il 10 gennaio 1928 nel villaggio Osovtzy del rione di Droghicin della provincia di Pinsk. L’origine sociale – contadini abbienti, membro del VKPB, partito dei Comunisti dal 1951, numero del libretto 00011582.

15.01.1944 – 25.07.1944 – combattente della squadra dei partigiani in nome di Kalinin della divisione di Molotov dell’Unità di Pinsk.

Dopo aveva lavorato nel reparto finanziario del Rione di Droghicin come capo ispettore fiscale.

1946 – 1949 – aveva svolto gli studi nell’Istituto Idrotecnico a Pinsk. Dopo gli studi aveva lavorato presso «Polesiemelioprogetto» svolgendo la mansione del capo della squadra della prospezione.

Dalla caratteristica del membro del Partito di Komsomol Mikhaevitch Vassiliy Nikitovitch:

«Il compagno Mikhaevitch V.N. durante gli studi all’istituto (tecnico) dal 01.09.1946 al 24.06.1949 ha mostrato di avere buona disciplina, di essere moralmente stabile, ideologicamente resistente, fedele al partito di Komsomol di Lenin e Stalin, al Partito di Lenin e Stalin». Segretario dell’organizzazione di Komsomol presso l’istituto Idrotecnico – Golubev, firma.

01.09.1951 – assunto come ufficiale del dipartimento criminale investigativo presso MGB BSSR (Ministero di Sicurezza dello Stato di Bielorussia).

06.08.1953 – licenziato in riserva per riduzione del personale.

1953 – 1958 – ha terminato gli studi presso Università in nome di Lomonosov a Mosca, facoltà di storia.

09.08.1958 – assunto come ufficiale del dipartimento criminale investigativo speciale presso KGB SM BSSR (Comitato di Sicurezza dello Stato presso il Consiglio dei Ministri di Bielorussia).

16.03.1959 – licenziato su propria richiesta. (10).

Cosa è successo veramente? Perché all’improvviso mio padre, assunto dopo gli studi all’Università di Mosca al KGB SM BSSR, dopo solo 6 mesi si è licenziato?

Secondo quanto detto da mia madre, lui non si è licenziato, ma ha buttato il proprio libretto di membro del partito dei Comunisti sul tavolo della direzione, dicendo che non voleva avere a che fare con un ente di questo tipo.

Sapeva qualcosa. Ma fino alla sua morte non ci ha detto niente.

L’ordine di licenziamento è stato dato il 6 febbraio. Formalizzato il 16 marzo1959.

Mio padre è stato licenziato. Ma la storia del suo “gesto” non è finita così semplicemente. Con questo gesto padre ha tagliato a pezzi non solo il proprio destino, ma anche il destino di sua moglie e delle sue due figlie.

L’appartamento in via Karl Marx è stato ritirato.

Ci siamo trasferiti in un piccolo appartamento di 2 locali in stile Khrushov in via Kedyshko.

Nel 1963 sono andata alla scuola piu’ vicina, la № 63.

E’ cominciato il periodo del calvario. Mio padre tentava di trovare lavoro. Per qualche periodo aveva lavorato in una scuola interna per bambini situata nel Parco Cheluskincev. Credeva ancora di dire la verità e tentava di parlare con la dirigenza di Mosca – andava a Mosca, ma non arrivava alla destinazione – lo facevano scendere e tornare indietro. Una volta lo hanno fatto tornare dal treno che andava in Cina. Era sotto osservazione, di sicuro. Non so se ha capito CONTRO che cosa si è ribellato e quando l’ha capito. Contro il Sistema. Circa nel 1968 la loro tolleranza è ceduta completamente e lo hanno internato nel manicomio. Mia madre chiamava gli infermieri. Alla fine, gli hanno prodotto la perizia medica con la diagnosi «schizofrenia», mettendo cosi un grosso punto sul suo destino. Uno storico con il diploma dell’Università di Lomonosov di Mosca “ha trovato“ un posto di semplice operaio in fabbrica di Orologi, con il salario minimo.

Vedevo come soffriva mia madre e in questa situazione sono diventata adulta presto. Mia madre si teneva il suo posto altolocato con difficoltà e appena in TV è cambiata la direzione, è stata spostata dalla mansione di capo della Redazione per Bambini e Giovani. Era il 1972. Avevo 16 anni. Mia sorella 12. Per questo motivo sono andata lavorare e studiare a 17 anni.

Chissà se è stata anche in questo caso l’ironia della sorte, ma io, come mio padre, sono diventata idrotecnico e per 25 anni ho svolto il lavoro di prospezione nelle spedizioni.

Nel 1989 ho fatto la discussione del Ph.D. in Idrobiologia e lavoravo all’Istituto di Zoologia dell’Accademia delle Scienze di Bielorussia, raccogliendo i dati per scrivere D.Ph.D.

Episodio 15. «Eredità pericolosa».

Sicuramente, il sistema sapeva che stava “marcando” in modo sicuro e non per una generazione.

Comprendeva mia madre veramente tutta la pericolosità di questa diagnosi per noi, sue figlie? Non ci ha abbracciato un giorno, non ci si è messa vicino, invitandoci ad un discorso serio tra adulti, almeno per prepararci ai futuri problemi. Tante conseguenze di questa diagnosi fabbricata escono tuttora e hanno segnato tutta la mia vita e, probabilmente quella di mia sorella.

Mia madre continuava ad andare al Mar Nero e servirsi nel sanatorio per VIP.

A 17 anni ho preso sulle spalle il grosso peso di sostenere madre e mia sorella e sono rimasta con mia madre fino a 40 anni.

La situazione a casa continuava ad essere pesante, anche se mio padre era diventato «sommesso». Aveva una forte insoddisfazione della vita e credo questo è comprensibile, se uno specialista con un’alta istruzione universitaria viene obbligato a lavorare come un semplice operaio in una fabbrica, ricevendo un salario minimo. Questa era veramente una “trovata” forte del sistema – umiliare e schiacciare psicologicamente.

Episodio 16. Lettera a Putin.

Mio padre teneva un diario. Con una matita chimica, in un semplice quaderno della scuola elementare. Questo quaderno era il suo Quaderno di Moabit. Potevo io, ragazza 17 enne, sapere scrivendo il tema durante gli esami all’università, sul poeta Musa Cälill’, che il quaderno del mio padre era un suo Quaderno di Moabit?

La calligrafia con gli anni diventava più difficile da decifrare.

Leggendo la biografia del ragazzo 20-enne, si capiva che a mio padre interessavano la politica e i rapporti internazionali.

Fino all’età avanzata leggeva sempre libri e stampa. Era mio padre un idealista e le sue idee erano un’ utopia? Aveva un forte senso di giustizia, difendeva i diritti dell’uomo, la libertà dell’individuo e la libertà di espressione. Vedeva e sapeva in quale direzione stava andando il sistema socialista, tentava di parlare e scrivere di questo ai leader mondiali.

Custodisco la busta con la lettera che mio padre ha indirizzato a V.V.Putin: mio padre scriveva del “fattore umano”. Stimare, sviluppare in ogni personalità i tratti umani, inizi umani, favorire i rapporti di collaborazione positiva, – questo era l’Umanesimo di mio padre.

Padre non scriveva e per di piu’ non parlava di quello che ha saputo lavorando in KGB: non voleva che avessimo problemi. Cercava di informare le sfere politiche alte di questo…Come se loro non fossero a conoscenza di cosa si faceva con la gente durante i tempi di Stalin. Lo hanno internato nel manicomio.

Quando ha capito che non poteva rompere il sistema, si è chiuso dentro e ha taciuto per 30 anni…

Episodio 17. Кuropaty, 1937. 77 anni dopo.

Nel 1988, quando la storia di Kuropaty è uscita fuori, alla mia domanda, perché prima non mi avesse detto niente, mio padre ha risposto che «queste persone sono ancora al potere» e che «la sua gente ammazzava la sua gente. Li mettevano in fila e con una pallottola ammazzavano due persone. Risparmiavano le pallottole».

Non è tornato mai più a parlare di questo tema.

Dimenticare significa tradire

Dall’articolo del Ph.D. in storia Igor Kuznetzov, membro dell’Associazione Internazionale storica, educativa e morale “Memorial”:

Nell’ aprile del 1999 si è conclusa la quarta l’inchiesta eseguita sul ritrovamento di un cimitero di massa in un bosco nel villaggio Kuropaty i cui risultati finora non sono stati pronunciati.

Su richiesta della popolazione, la Procura Militare ancora una volta ha esaminato l’inchiesta, non avendo trovato nessuna “traccia tedesca”.

Sul monumento in granito a Kuropaty è stata scolpita la scritta:

«In questo bosco in conformità alla decisione del Consiglio dei Ministri di Bielorussia del 18 febbraio 1989, verrà costruito un monumento alle vittime delle repressioni di massa durante gli anni 1937–1941»

Fatti storici

Il 3 giugno 1988 la rivista «Litaratura e mastaztva» ha pubblicato l’articolo degli scienziati dell’Istituto di Storia dell’Accademia di Scienze di Bielorussia Zenon Posnyak e Evgeniy Shmygalev “Kurapaty – strada della morte”.

Nell’articolo veniva affermato che nel bosco di Kuropaty durante gli anni 1937 – 1941 erano state sepolte vittime delle repressioni politiche. Analizzando tutti i documenti, gli autori hanno dedotto che durante gli anni prima della guerra gli organi di potere del NKVD fucilavano la gente.

Gli autori hanno scritto che all’inizio degli anni 70 gli anziani abitanti del villaggio Zeleniy Lug raccontavano che nel bosco vicino fucilavano gli uomini.

Dal 1937 al 1941, dicevano, ogni giorno e notte portavano con le macchine le persone nel bosco e le fucilavano. Attorno c’era un bosco con alberi alti che chiamano Brod. La zona era circondata da un recinto in legno alto circa 3 metri, con sopra il filo spinato. Dietro, la zona era protetta dagli uomini con cani. Portavano la gente sulla strada non asfaltata che portava dal tratto di Logoisk verso la città Zaslavl’. La gente locale ha nominato questo tratto “Strada della morte”. La pubblicazione della rivista letteraria ha avuto una risonanza nazionale. Dopo qualche giorno dalla pubblicazione, l’articolo è stato ripubblicato nelle riviste “Moskovskie novosti”, Izvestia”, Ogonek”, e ha parlato di questo anche la Televisione Centrale.

Tutte le pubblicazioni hanno avuto una grande risonanza. Il 14 giugno 1988 é stata aperta un’ inchiesta penale da parte della Procura di Bielorussia. Questa inchiesta è stato il primo caso nell’URSS avviato contro lo stato totalitario per i crimini contro il proprio popolo accaduti negli anni 30.

Durante l’estate del 1988 a casa nostra è arrivato un giornalista di Mosca e ha intervistato mio padre riguardo agli avvenimenti a Kuropaty.
La prima inchiesta sui crimini di Kuropaty si è svolta da giugno a novembre 1988, dopo di che la pratica è stata chiusa e poi riaperta di nuovo nel gennaio 1989.

Il Procuratore di Bielorussia Georgy Tarnavsky ha intentato causa penale, la prima causa penale nel paese contro i crimini di 50 anni fa, commessi da NKVD. La stampa ha pubblicato la notifica dell’inizio dell’inchiesta e della formazione della commissione governativa composta dallo scrittore Vasil’ Bykov e Ivan Cigrinov, il pittore nazionale dell’URSS Mikhail Savitsky, l’ex partigiana Eroe dell’URSS Maria Osipova, i dirigenti del Ministero di Giustizia e del Ministero degli Affari Interni BSSR, del Tribunale Supremo, KGB, scienziati, rappresentanti delle associazioni sociali. La commissione era presieduta dal vice presidente del Consiglio dei Ministri Nina Mazaj. L’inchiesta era svolta da Jazep Brolishs, giudice per le cause speciali della Procura Generale di Bielorussia.

A luglio 1988 i partecipanti dell’inchiesta per la prima volta tutti insieme sono andati a Kuropaty. Sono usciti dalle macchine, scesi sul posto, esaminando le fosse, diverse per profondità e dimensioni, coperte di erba e cespugli, in certi casi ricoperte da rifiuti, vetro rotto e lattine. Hanno trovato 510 fosse delle dimensioni 2х3; 3х3; 4х4; 6х8 m.

Contemporaneamente, hanno parlato con la gente che abitava nei villaggi circostanti, per fare la lista delle persone che vivevano in queste zone negli anni 30-40. Presto l’inchiesta ha ottenuto una lista con circa 200 nomi ed indirizzi. Tuttavia, dagli archivi sono arrivate notizie negative: “Non esistono materiali appartenenti a questo periodo che contengano qualsiasi informazione degli avvenimenti nel bosco vicino ai villaggi Zna-Iodkovo, Drosdovo, Zeleny Lug”.

Parla Jazep Brolishs, ex giudice per le cause speciali della Procura Generale di Bielorussia: «Questa causa era assolutamente unica. Di solito una causa penale ha uno scopo: stabilire il delitto, chi l’ha fatto, determinare l’articolo del Codice Penale, trovare la parte lesa ecc. In questo caso non era chiaro cosa cercare… In piu’, non esistevano metodiche, tecnologie. Era il primo caso di questo tipo nell’URSS. Provando e sbagliando, usando le tecnologie e metodi di criminologia, abbiamo trovato la strada a chi ha avuto simili casi di sepoltura di massa, dopo di noi».
Dopo l’inchiesta è stato stabilito che sul territorio di circa 30 ettari si trovavano circa 510 cimiteri sotto forma di fosse. E’ stata eseguita una riesumazione selettiva durante quale sono stati ritrovati resti umani — 313 teschi, ossa, 340 protesi dentali in giallo e bianco metallo. Sono state rilevate cose personali — pettini, spazzolini da denti, portasapone, portamonete, scarpe, resti di abbigliamento, nonché 177 bossoli e 28 pallottole. 164 bossoli di revolver e 21 pallottole per i revolver con sistema «Nagan», 1 bossolo della pistola «ТТ», cioè, dell’arma professionale dei collaboratori NKVD.
Quando ci siamo trasferiti nell’appartamento nuovo, avevo 14 anni. Mi piaceva la periferia della città, uscendo da casa si poteva subito entrare nel bosco. Spesso durante l’estate andavamo nel villaggio Zna per comprare il latte fresco, e d’inverno si sciava nel bosco innevato. Da tanto tempo avevo notato nel bosco queste depressioni nel terreno, pensando che fossero rimaste dopo la guerra. Non avrei mai potuto immaginare che potessero nascondere un’eredità cosi’ “terribile”.

“HO VISTO UNA GRANDE FOSSA RETTANGOLARE”

Nell’archivio sono state rilevate le liste dei collaboratori del dipartimento amministrativo di NKVD BSSR, riferite alle visite mediche. Erano i cognomi degli autisti quali, per logica, potevano servire la tratta “prigione-Kuropaty”.

Dalla testimonianza del Mikhail Devidson, ex autista del garage di NKVD:

“Come autista, non ho partecipato alle operazioni… Ma una volta c’è stato un caso. Ero di servizio notturno. Mi ha chiamato il funzionario di turno di NKVD, non ricordo il suo cognome, e ha detto che dovevo lasciare la mia macchina “emka” nel garage, andare nel cortile e prendere la macchina che si chiamava “voron” (corvo in italiano) e andare dove mi avrebbero indicato. Mi sono messo al volante, vicino a me c’era un collaboratore dell’ufficio del comandante, persona a me sconosciuta. Mi ha detto di partire verso la strada di Mosca…

Quando siamo entrati nel bosco, ho visto una grande fossa rettangolare… Ho acceso la luce e ho visto che dietro dal cassone della macchina portavano la gente. Una parte di loro era già seduta sul perimetro della fossa, con le gambe giu’, le mani erano piegate dietro la schiena. Quando tutto il perimetro della fossa era pieno di gente, hanno cominciato a fucilarli.

Una sola persona fucilava, un collaboratore dell’ufficio del comandante, fucilava dalla pistola nella nuca e gli uomini cadevano nella fossa. Quando tutti erano stati uccisi, lui stesso è saltato nella fossa e ha cominciato a schiacciare le persone uccise, ho sentito come scricchiolavano le ossa. Il cognome di quest uomo era Ostrejko… In tutto sono stati fucilati in quella notte 20 uomini, nella mia macchina cosi tanti non ci sarebbero stati. Probabilmente sono stati fucilati tutti. Nella luce dei fari vedevo le facce di queste persone ma non li ricordo. C’erano solamente uomini di mezza età. Tutti vestiti con abbigliamento leggero – abiti, giacche, senza cappotto, senza cappello, vestiti civili. Non avevano con se bagagli e altre cose.

Alla fucilazione partecipavano 5 persone, collaboratori dell’ufficio del comandante, il maggiore di cognome faceva Ermakov. Ma una sola persona fucilava direttamente … Ostrejko… Tutti i partecipanti alla fucilazione avevano la divisa NKVD… Tutti avevano pistole, non ho visto nessun’altra arma più grande … Dopo la fucilazione mi hanno detto di andare via, non so chi ha chiuso la fossa… Secondo me, questo è accaduto alla fine dell’anno 1934, inizio 1935, ma dopo la morte di Kirov… Insieme con me in NKVD lavoravano anche gli altri autisti, probabilmente loro erano costretti ad essere presenti piu’ spesso a tali avvenimenti. Gli autisti permanenti delle macchine “voron” erano Matushevsky, Korsak, Adamovitch, Jartemik. Quest’ultimo l’ ho visto dopo la guerra, era l’autista dello scrittore Kuleshov. So che dopo queste “operazioni”, tutti i partecipanti venivano invitati a cena nella mensa di NKVD. Hanno invitato anche me, ma io non sono andato”.

Dalla testimonianza di Evgeniy Stashkevitch: “Nell’estate del 1937 è morto mio padre, e mia madre, al posto di mio padre, mi svegliava molto preso al mattino per pascolare la mucca. Abitavamo in un khutor, casa nostra era fuori villaggio. Le mucche pascolavano vicino alla strada per Zaslavl’.Una mattina, mentre pascolavo la mucca, circa alle ore 5, ho visto come nel bosco sono arrivati i camion chiusi. Subito dopo ho sentito degli spari. Ero ragazzo e non ero riuscito a capire prima cosa fossero queste macchine e perché sparavano. In seguito gli adulti mi hanno spiegato che stavano fucilando “i nemici del popolo”.

Dalla testimonianza di Sergej Kharitonovitch, negli anni 1937-38 collaboratore di prigione interna NKVD in via Uritzkij:

“Negli anni 1937-38 dall’ “аmericanka” la gente regolarmente veniva mandata per essere fucilata. Io personalmente non portavo i prigionieri, li accompagnavo solo dalle loro camere alla macchina… In una macchina mettevano 15-20 persone e la macchina partiva subito, non si sa per dove. Una volta sola sono dovuto andare sul posto della fucilazione, per chiudere una fossa fresca … Eravamo sulla strada Logojsky e circa a 4 km dalla città abbiamo svoltato a sinistra… Siamo arrivati in un bosco dove ho visto la fossa – abbastanza lunga, ma non molto larga. Le salme erano già coperte con la terra, dovevamo solo mettere piu’ terra e allineare al livello del suolo… Sono andato una volta sola, non ho partecipato alle fucilazioni… Durante tutto l’anno 1937 gli uomini venivano mandati a fucilare. Quando ero di servizio, ogni notte accompagnavo i prigionieri, nel 1938 fucilavano meno… Hanno cominciato a fucilare i collaboratori di NKVD…”

“ALCUNI URLAVANO: “VIVA IL POTERE SOVIETICO!”

Dal racconto di Sergej Zakharov, nel 1937 il portinaio dell’ufficio del comandante NKVD BSSR:

“Su ordine del comandante io e altri convoglianti, non ricordo i cognomi, siamo arrivati con un camion chiuso con un’ olona all’”americanka”, erano circa le h22-23… La guardia della prigione ha accompagnato nel camion alcuni arrestati… C’erano non meno di 20 persone… Non sono andato dove loro venivano fucilati, aspettavo nella macchina, facendo la guardia ai prigionieri… Non ricordo precisamente chi – un esecutore o una delle guardie – è venuto a prendere una persona e l’ ha portata via. Ho sentito uno sparo. Dopo sono venuti per prendere un altro condannato e lo hanno portato via, e ancora ho sentito un sparo. Cosi hanno fucilato tutti…

Guardando gli abiti, in particolare, le scarpe, tra i condannati erano tanti abitanti della Bielorussia dell’Ovest. Alcuni erano vestiti molto bene, altri piu’ modestamente. Alcuni avevano scarpe molto care, fatte su misura. Scarpe cosi le indossavano nell’ Europa dell’Ovest. Negli anni 1937-1938 facevano fucilazioni ogni notte. Nel 1940, dopo l’annessione di Bielorussia dell’Ovest, c’era tanto lavoro anche dopo…

Lasciando la prigione, loro prendevano tutto ciò che avevano ,che noi chiamavamo il “corredo”. Io personalmente vedevo nelle mani dei condannati i pacchi e borse con le loro cose. ..Dai discorsi con Bochkov, Ostrejko, Migno che fucilavano sempre, so che una persona condannata a morire veniva accompagnata alla fossa e ammazzata con uno sparo in testa, poi cadeva nella fossa o ci veniva buttata. Nella fossa buttavano anche gli effetti personali …Penso che parte della gente non fosse colpevole. Ho avuto questa impressione… Nel 1937 si fucilava ogni notte…”

In uno dei cimiteri di Minsk, su una tomba in marmo è scritto: Коba Stepan Grigorievitch (1908-1953)”.

Stepan Koba era una figura nota in NKVD BSSR, che di sicuro saliva sulla scala per fare carriera, raggiungendo mansione del colonello di sicurezza dello stato, e ha finito la sua vita proprio nel suo ufficio, sopravvivendo a Stalin soltanto per due mesi.

Dalla testimonianza di Sergej Kharitonovitch:

“Tanti collaboratori dell’ufficio del comandante partecipavano alle fucilazioni – Nikitin, Коbа, Еrmakov, Jakovlev… Tornando tardi di notte in NKVD, nella mensa bevevano alcolici consegnati loro in base ad un ordine… Non so per che cosa. Puo’ essere, per la nocività. Era molto attivo e partiva sempre per queste fucilazioni il magazziniere Abramcik Foma, non ricordo il patronimico. Mi sono incuriosito un paio di volte di come si facesse, ed egli mi ha detto che la gente veniva portata vicino alla fossa e gli si sparava con la pistola. Ricordo che Abramcik diceva che prima di essere fucilati, alcuni gridavano: “Viva il potere Sovietico!”, “Viva Stalin!”

Dal racconto di Sergej Zakharov:

“Fucilavano la gente Bockov, Ostrejko, Koba e altri collaboratori dell’ufficio del comandante, con il revolver. Probabilmente usavano anche le pistole tipo ТТ… Quando e chi preparava le tombe, questo non lo posso dire… Penso che lo facessero Migno e Ostrejko, i quali si trovavano sempre, secondo loro racconti, sul posto di fucilazione”.

Ivan Stelmakh ha cominciato il servizio nell’ente NKVD facendo il tirocinio nel reparto investigazioni ed è diventato il vice ministro di sicurezza di BSSR:

“Dopo la guerra quando svolgevo già la mansione di vice ministro del Ministero di Sicurezza della Stato, raccoglievo le lettere dei parenti delle persone che negli anni 30 erano state imprigionate per 10 anni, senza diritto di corrispondenza. Ho deciso di farmi aiutare da Koba, il comandante, e ho chiesto come sono i destini di queste persone. Koba ha fatto un sorrisino furbo e dopo volentieri mi ha raccontato che quelle sentenze penali significavano – la fucilazione …Коba in via confidenziale mi ha detto che queste “operazioni” si svolgevano nel bosco vicino a Minsk, ma non mi ha detto dove esattamente si trovava il posto e come si chiamava… Senza vergogna, Koba ha raccontato che faceva le fucilazione lui stesso insieme con gli altri collaboratori dell’ufficio del comandante, tra quali erano Nikitin e Ermakov. Sparavano alla testa con i revolver, perché, nelle parole di Koba, quest’ arma era la più sicura. Durante una notte di solito fucilavano non meno di 10 persone. Dopo le “оperazioni” davano ai partecipanti l’alcool puro. Potrebbe essere proprio da questo rito che tanti degli assassini sono diventati alcolisti cronici e alcuni di loro si sono suicidati”.

Scavi a Kuropaty

Era stato deciso di fare gli scavi a Kuropaty usando rigorosamente le metodiche archeologiche, e per questo motivo è stato inviato l’archeologo Zenon Posniak. In archeologia, per determinare le caratteristiche di un monumento (tomba) è sufficiente esaminarlo. Sono state selezionate otto fosse comuni in punti diversi della zona e il 6 luglio 1988 hanno iniziato a lavorare.

Il punto di dislocazione di ogni articolo nella fossa veniva messo sulla mappa-pianta. Fissavano rigorosamente la profondità a cui era stato trovato il reperto; gli scavi sono stati periodicamente fotografati dai criminologi e filmati. La sabbia asportata da sopra veniva esaminata con il metal detector. Esperti in modo dettagliato esaminavano ogni osso, ogni reperto. I resti delle scarpe – galosha, i gambali degli stivali, le suole con i codici e altri particolari, pezzi di abbigliamento di pelle, venivano selezionati per la successiva perizia. Interesse particolare veniva prestato alle cose personali delle persone fucilate: pettini, portamonete, spazzolini da denti, occhiali, monete.

Quando tutti gli strati degli scavi erano stati alzati e setacciati con le mani e gli occhi di decine di esperti, i membri della commissione, gli archeologi Andrey Metelsky e Valentina Berghey hanno detto: «Per esempio, nell’ultima fossa dove sono state trovate le ossa di 370 persone, le persone sono state sovrapposte come legname accatastato, coperte con la terra e sopra è stato accesso un falo’ con le loro cose personali e l’abbigliamento. Sono stati trovati resti di scarpe degli anni 30, calici, pettini, documenti di confisca delle cose. I tedeschi non lasciavano documenti per le cose confiscate, a quanto so. Nelle fosse non sono state trovate le ossa dei bambini, si sa come sparavano tedeschi. Le cose trovate ci dicono che le persone venivano portate a Kuropaty direttamente dalla prigione, con i loro effetti personali. Significa, che le persone non erano tenute nelle camere e non è stata fatta nessuna indagine.

Questo era un vero genocidio contro il popolo. Un crimine di simile misura si puo’ paragonare forse con i crimini in Cambogia. Questa era la guerra civile del potere armato contro il popolo disarmato». (7)

Dalla distinta dei reperti trovati durante gli scavi N2:

“1).62 teschi, 68 paia di ossa femorali, 55 paia di ossa delle spalle, 64 paia tibiali e 48 paia del perone. Sul lato della nuca sono stati trovati buchi rotondi.

2). Tazza di porcellana.

3).8 articoli deformati in metallo simili a pallottole.

4). Portamonete.

5). Occhiali con vetro tondo, con portaocchiali.

6). 6 borsellini..

7). Fiammiferi con monete. La quantità esatta delle monete non è stata determinata per non rovinare la scatole con i fiammiferi…

12). Spazzolino da denti…

14). Pettine marchiato British made

21). Tre pezzi di scarpe…”.

Se nelle fosse da 1 a 3 le scarpe, che tra l’altro si sono conservate meglio rispetto alle altre cose, erano per la maggiore parte di produzione locale o artigianale (fabbriche “Krasniy treugolnik”, “Кrasniy bogatir’”, “Resinotrest“), nelle fosse 5, 6 e 8 c’erano tante scarpe e scarpe di gomma marcate con nomi di fabbriche straniere: Gentleman, Pepege, Bata, Alfa-Sanok, Rugawar etc.

In tutte le fosse i resti delle persone venivano rilevati prima sul perimetro e dopo in centro, con una profondità di 10-60 cm piu’ grande, nella fossa No 5 – piu’ profonda di 1 metro. Cioè, come nel centro della fossa si fosse formato uno spazio senza resti, ma con qualche resto di abbigliamento, occhiali, scarpe ecc.

Questa circostanza è stata uno degli argomenti principali per Pazniak e Shmygalev che scrivevano nella rivista “Litaratura e mastaztva” nell’articolo “Scricchiolano pini sopra le tombe” pubblicato il 16 settembre 1988: “…Cosa significa e perché si è creata questa situazione? Si è creata a causa della precedente riesumazione, degli scavi delle tombe e della raccolta delle ossa quando qualcuno…. faceva perdere le tracce”.

Nell’articolo, che per la maggior parte ripete il rapporto degli archeologi sugli scavi, si fa una conclusione: “Avendo preso le misure e sommando tutti i dati raccolti, si può calcolare all’incirca la quantità iniziale di persone sepolte nelle tombe esaminate. Si stima una cifra da 150 nella tomba “invernale” N1 fino a 260 nella tomba N5.

Se prendessimo una cifra media di 200 salme nella tomba e facessimo una semplice moltiplicazione per il numero delle fosse finora trovate (510), avremmo 102’000 persone. Tuttavia, la cifra reale delle persone sepolte, probabilmente, è più alta, perché esistono più fosse, più grandi come dimensioni e alcune fosse sono lunghe fino a 10 metri”.

Altre stime dicono che il numero delle vittime a Kuropaty raggiunge circa 200’000 persone.

DATI E CIFRE

L’età degli alberi tagliati vicino agli scavi, si aggira tra i 35 e 45 anni. Le testimonianze di alcune persone confermano che il bosco a Kuropaty era stato man mano tagliato, e ne é cresciuto uno nuovo dopo la guerra.

Tra le cose trovate nelle fosse c’erano tanti portamonete, con le monete. Il periodo della loro stampa testimonia che nella prima e seconda fossa le persone sono state sepolte non prima del 1936, nella quinta – nel 1940.

Questo si può dedurre anche leggendo la scritta sulla pettine maschile dalla fossa N5:

“Pesanti minuti di un carcerato. Minsk 25.04.1940. Il pensiero di voi mi porta alla disperazione”, – scritto in lingua polacca su una parte del pettine.

Sull’altra parte: “26.IV. Ho pianto – giorno pesante”.

Esaminando protesi dentali, otturazioni e capsule, i periti tecnici hanno stabilito che le protesi erano state fabbricate nel periodo tra il 1933 e l’inizio della guerra: nell’odontoiatria hanno iniziato ad usare l’acciaio inossidabile dopo il 1933, il caucciu’, utilizzato come base sotto le protesi smontabili, è stato sostituito con la massa plastica nel 1946-47. I denti artificiali a forma di sella, spesso trovati durante gli scavi, non venivano fabbricati dopo la guerra.

L’inchiesta è giunta ad una conclusione: le fucilazioni nel bosco di Kuropaty furono eseguite dalla seconda metà degli anni 30 fino all’inizio della guerra.

Dalla perizia medica legale criminalistica:

“In base ai dati ricevuti, è stato stabilito che nella fossa N1 vi erano non meno di 55 persone; nella N2 – non meno di 69; nella N3 – non meno di 37; nella N5 – non meno di 107; nella N6 – non meno di 36; nella N8 – non meno di 52. Quindi, il numero totale delle persone sepolte nelle tombe esaminate dovrebbe essere non meno di 356 persone…”.

Facendo semplici conteggi aritmetici si arriva a 356:6 = 59, un numero medio. In ogni fossa in media ci sono i resti di 59 persone. Se si moltiplica questa cifra alla quantità delle presunte tombe, si può dedurre che sul territorio di Kuropaty sono stati sepolti non meno di 30 000 cittadini.

Dalla perizia medica legale criminalistica:

“In totale sono stati analizzati 311 teschi e loro frammenti, presi da 6 fosse. Su 222 sono stati rivelati i danneggiamenti da arma da fuoco che si caratterizzano con un difetto del tessuto, di forma tonda o ovale, del diametro circa 7-9 mm…

188 teschi e frammenti avevano 1 buco provocato da arma da fuoco, 29 teschi avevano 2 buchi e 5 teschi – 3 buchi. In 192 casi i fori sono stati fatti alla nuca, in 26 casi – alla tempia (destra o sinistra)…

I bossoli presentati durante l’inchiesta sono stati fabbricati tutti nell’URSS:

nel 1928 – 3 pz., 29 – 2 pz., 30 – 6 pz., 31 – 13 pz., 32 – 1 pz., 33 – 12 pz., 34 – 6 pz., 35 – 9 pz., 36 – 1 pz., 37 – 8 pz., nell’anno 1939 – 74 pezzi.

164 bossoli sono stati sparati dal revolver con sistema “Nagan”,

1 bossolo – da pistola con sistema ТТ“. 8 pallottole rilevate nelle fosse NN5-6, hanno calibro 7,62 mm e sono destinate al revolver con sistema “Nagan””.

Come è stato dimostrato dalla perizia medica legale criminalistica, si stima che a Kuropaty nelle fosse giacciono ceneri non meno di 30’000 persone represse.
Durante le indagini sono state interrogate circa 200 testimoni oculari. 55 testimoni dai villaggi Zna-Iodkovo, Podbolotie, Drozdovo, situati in vicinanza del bosco, hanno confermato che durante gli anni 1937-1941 i collaboratori di NKVD portavano con camion coperti gli uomini che venivano fucilati nel bosco. Le salme venivano buttate nelle fosse e coperte di terra. Le fucilazioni erano iniziate nel 1937 ed erano continuate fino al 1941. Considerando il carattere e il tipo degli effetti personali, in Kuropaty erano sepolti per la maggior parte cittadini di Bielorussia, inclusi quelli dell’ovest, e, probabilmente, cittadini dei Paesi Baltici. Ci sono le basi per pensare che nelle fosse ci fossero le ceneri anche dei carcerati politici di AvtodorLag.

Tra i testimoni non c’era nessuno che durante la guerra era bambino o anziani. Durante l’indagine il teste N.Karpovitch ha indicato un posto dove nel 1937 ha visto una fossa non coperta con la terra, piena di salme. Durante la riesumazione dei resti dalla fossa da lui indicata sono stati trovati 50 teschi, ossa dello scheletro, scarpe, altri oggetti e frammenti.
Dal protocollo di riesumazione dei resti:
«Durante l’esame della fossa №8 sono stati tolti i seguenti oggetti: 50 teschi… con fori tondi o ovali, posizionati in diverse parti — sul sincipite, nuca, tempia, fronte. Non sono stati rilevati teschi non danneggiati …»
Praticamente, tutti i testimoni hanno confermato che durante la guerra in questa zona non c’erano fucilazioni e, in generale, in quel tempo la “traccia tedesca” non veniva presa in considerazione da nessuno. Secondo Jazep Brolishs, «sia prima che adesso non ho dubbi che questo fosse affare fatto da NKVD. Durante l’inchiesta non è stata trovata nessuna prova della “traccia tedesca”. Invece, c’erano piu’ che sufficienti conferme che erano “organi competenti” a fucilare. »

Per chiarire dove si trovavano i posti di esecuzione delle pene e delle decisioni degli organi non giudiziari durante gli anni 1937–1941 e 1944–1953, l’indagine ha inviato la richiesta al KGB BSSR.

Tuttavia, la risposta era che questo ente non possedeva dei documenti a questo proposito. Non c’erano neanche i dati che riguardavano le persone che eseguivano le decisioni dei tribunali e il massimo della pena durante gli anni indicati. E’ stato impossibile stabilire anche la quantità di persone fucilate.

Tuttavia, l’indagine ha stabilito che dal 1937 al 1941 nel bosco di Kuropaty NKVD si eseguiva la fucilazione di massa dei civili. Nella decisione per la chiusura del caso penale è stato evidenziato: «Considerando il fatto che le persone colpevoli di queste repressioni, i dirigenti di NKVD BSSR ed altre persone, sono stati condannati a morte o morti, in base a quanto esposto… la causa penale avviata il 14 giugno 1988 da parte del Procuratore di Bielorussia, viene chiusa».

 Nuova versione della vecchia causa

A giugno 1991 i membri della «commissione sociale per l’indagine dei crimini a Kuropaty” presieduta da V.Korzun, hanno inviato alla Procura dell’URSS il materiale che, secondo loro, confermava che a Kuropaty non sono sepolte vittime di NKVD, ma dei fascisti.
Nell’ autunno del 1991 a Minsk è arrivato il rappresentante della Procura dell’URSS ma i fatti esposti nell’appello della «commissione sociale” non hanno trovato conferma. A febbraio 1992, su nuova richiesta della commissione, la Procura di Bielorussia ha riaperto il caso. L’indagine di nuovo ha confermato le conclusioni della Commissione statale.
Nel 1993 la «commissione sociale» si è appellata al Consiglio Supremo della Repubblica Bielorussia con la proposta di annullare la conclusione della Commissione statale riguardo agli avvenimenti di Kuropaty. Il Consiglio Supremo ha incaricato il Procuratore Generale della Repubblica V.Sholodonov di riaprire il caso.

La seconda l’indagine è stata affidata all’investigatore per le indagini di importanza speciale della Procura di Bielorussia Valeriy Komarovsky. Proprio in quel periodo è nata la versione della “traccia tedesca” e della supposizione che a Kuropaty venissero fucilati civili non da parte di NKVD, ma dai tedeschi che liquidavano gli ebrei amburghesi, portati come traduttori.
In quel periodo Maria Osipova, la partigiana bielorussa, membro della commissione di stato durante la prima indagine, all’improvviso ha ricordato che durante la guerra nel rione di Minsk Komarovka verso Zeleniy Lug, i tedeschi portavano la gente civile a fucilare. In altre parole, la nuova indagine ha dovuto esaminare più versioni contraddittorie tra di loro..
La nuova indagine di Kuropaty è stata svolta in modo molto approfondito.

Per escludere la versione della fucilazione degli ebrei da parte degli occupanti tedeschi, Valeriy Komarovsky ha fatto una domanda all’Istituto di Gerusalemme di catastrofi e eroismo degli ebrei europei durante la Seconda Guerra Mondiale “Jad Vashem”, dove era raccolto l’archivio più completo riguardo le repressioni del popolo ebreo.

Minsk… Drosdy… Masukovschina… Kuropaty… Zna-Iodkovo…

Zeleniy Lug non era nominato nella lista delle fucilazioni della popolazione ebrea. Non c’era informazione riguardo la fucilazione a Kuropaty neanche negli archivi tedeschi. Esperti tedeschi hanno confermato che il metodo di sepoltura a Kuropaty non era tedesco. Gli hitleriani di solito scavavano fosse piu’ grandi — fino a 50–60 metri in lunghezza, prima dell’”operazione” svestivano le persone, gli toglievano gli oggetti personali, le capsule dentali in oro.
In piu’, è stata scoperta “la traccia polacca”. In particolare, in uno degli archivi russi è stato trovato un ordine firmato da L.Beria, riguardo la deportazione dalle prigioni di NKVD dalle parti occidentali di Bielorussia a Minsk di 3’000 ufficiali militari dell’armata polacca, e l’ordine di eseguire la loro fucilazione. A marzo-aprile 1940 sono stati deportati a Minsk e qui le tracce si sono perse… Praticamente, è stato confermato che Katyn’ e Kuropaty sono due anelli della stessa catena.
Il procuratore militare di Mosca colonello V.Jablokov
ha inviato a Minsk una richiesta. Negli archivi speciali della Federazione Russa il colonello ha trovato documenti firmati da L.Beria che confermano l’emissione a marzo del 1940 dei vagoni per l’evacuazione a Minsk dalle prigioni di Brest, Belostok, Grodno, Kartuz-Bereza ed altri posti, 3’000 arrestati polacchi. Il colonello ha raccolto le testimonianze delle persone che hanno confermato questo fatto.
Tutto faceva capire che le pratiche investigative che riguardavano gli ufficiali militari polacchi, spie e diversanti, controrivoluzionari e capitalisti, capitati sotto l’ordine di Beria, dovevano essere negli archivi di KGB di Bielorussia, e il colonello ha chiesto il permesso di visionare questi documenti. Nella lettera Jablokov ragionevolmente ha evidenziato che in Russia e Ucraina analoghi documenti già da tempo erano desegretati e nelle mani degli investigatori dell’indagine su Katyn’, inclusi quelli da parte polacca. Ma i servizi speciali bielorussi su questa richiesta argomentata hanno risposto con un rifiuto.
Durante l’indagine degli anni 1988–1989 su Kuropaty l’ex vice presidente del KGB BSSR Generale Э. Shirkovsky e vice presidente della commissione governativa, a tutte le domande che riguardavano i posti di fucilazione e i partecipanti all’ esecuzione di pena, rispondeva costantemente: «il KGB non possiede tale informazioni». In seguito il generale è diventato il capo di questa organizzazione, ha organizzato l’attività populistica dei suoi collaboratori, con racconti di radicale riorganizzazione di tutti i piani della Casa costruita da Zanava, ma sulle domande che riguardavano Kuropaty in modo univoco rispondeva: « Non ci sono testimonianze documentate ». (4)
Dopo l’esame di tutti documenti venne emanata la disposizione riguardo l’assenza dei motivi per altre indagini sul caso di Kuropaty. Le prove raccolte hanno confermato l’inconsistenza delle presupposizioni della cosi detta “commissione sociale”.

L’analisi dei materiali raccolti durante l’indagine penale ha permesso di concludere che nel bosco di Kuropaty durante gli anni 1937–1941 l’organizzazione NKVD BSSR ha eseguito fucilazioni massicce di cittadini civili incolpati di aver commesso “ crimini controrivoluzionari”.
La decisione di avviare l’indagine No 4 nel 1998 è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Questa volta l’indagine è stata affidata all’assistente maggiore del Procuratore Militare della Repubblica Bielorussa Viktor Somov. Le prove raccolte durante l’indagine sono state controllate ancora. C’è stato anche un fatto “sensazionale”: durante l’indagine “la commissione sociale” ha presentato un testimone il quale dichiarava di aver visto, con i propri occhi, che le fucilazioni a Kuropaty erano ad opera dei tedeschi, e non dei collaboratori di NKVD. Durante l’indagine è stato chiarito che “il testimone” non conosceva bene nemmeno il posto di cui parlava.

Durante l’ultima indagine è stata scoperta una delle piu’ grandi fosse di Kuropaty, con i resti di oltre 300 persone (nelle altre fosse sono stati trovati i resti di circa 100 persone ciascuna). Durante l’indagine del 1998 la prima volta nella storia degli scavi a Kuropaty, sono state trovate le prove con date concrete e cognomi dei cittadini, che confermavano che le fucilazioni erano state fatte prima della seconda guerra mondiale. Nella fossa №30 sono state trovate le ricevute di prigione della confisca dei valori, rilasciate il 10 giugno 1940 ai cittadini Movsha Kramer e Mordukhai Shuleskes, cioè, 1 anno prima dell’occupazione di Minsk.
L’indagine ha confermato che il 94% dei bossoli esplosi trovati a Kuropaty, appartenevano ai revolver sistema “Nagan”. Inoltre, sono stati trovati alcuni bossoli delle pistole sistema “Browning” e “Valter, e questo fatto ha dato ancora un’altra possibilità alla “commissione sociale” di sollevare la questione della “traccia tedesca”. Ma bisogna evidenziare che le armi di questo tipo venivano fabbricate molto prima del 1941, e, spesso, erano a disposizione del personale di NKVD. Ci sono dati che confermano che molti funzionari permanenti di NKVD avevano proprio queste pistole.

Abituato a fidarsi dei documenti ufficiali, ma, possibilmente, controllarli, l’investigatore di Procura della Repubblica Valeriy Komarovsky, alla quale è stato affidato di continuare l’indagine “del caso di Kuropaty”, è andato a Mosca, nell’archivio del Bureau Federale di Sicurezza, e con l’aiuto dei colleghi russi ha trovato delle copie dei documenti inviati tempo fa da Minsk a Mosca.

Nei documenti sono citati i cognomi dei militari che eseguivano la fucilazione con sparo alla nuca. E’ interessante, che la maggior parte dei cognomi indicati negli atti veniva nominata da parte di ex collaboratori di NKVD durante gli interrogatori della prima indagine.
I nomi dei carnefici che sparavano nelle nuche dei nostri cittadini sono stati individuati durante l’indagine:

i collaboratori di NKVD BSSR Nikitin, Ermakov, Koba, Jakovlev, Ostrejko, Dubrovsky, Bockov, Batyan, Abramcik, Migno.

E questa non è una lista completa dei carnefici che hanno ucciso migliaia di persone innocenti…
Alla ricerca della “traccia polacca”

E’ un errore affermare che nella primavera del 1940 a Minsk le vittime delle repressioni di Stalin fossero i “militari polacchi”. Indubbiamente, i militari polacchi, i poliziotti e i funzionari statali erano sotto l’’osservazione dell’ente sovietico speciale NKVD. Come anche altre categorie di cittadini polacchi, e prima di tutto, l’ intellighenzia.

Igor Melnikov in un articolo menziona alcuni esempi di chi nella primavera del 1940 veniva tenuto nelle prigioni NKVD di Minsk e poteva essere nella lista di Katyn’, dei destinati alla fucilazione.

A settembre del 1939 a Volkovissk fu stato arrestato il padrone della tenuta Gornostaevitchi Henrik Butovt-Andgeikovitch, prima tenuto nella prigione di Volkovissk e in seguito, nella primavera del 1940 portato a Minsk. Le tracce di questa persona si perdono nella capitale di BSSR.

Il 13 dicembre 1939 a Brest è stato arrestato il medico, chirurgo, ex direttore dell’ospedale di Brest, colonello in riserva dell’Armata della Polonia, proprietario della tenuta Peravilki nella provincia di Brest, Leonard Shmurlo. Fino al marzo 1940 questa persona era incarcerata a Brest, poi fu portato a Minsk.

Un simile destino ebbe anche Marian Kovalicko. Fino al settembre 1939 Kovalicko insieme con la moglie Julia e la figlia Maria abitò nella tenuta Chuchevitchi della provincia di Luninetz dei voivodato della Polonia. Insegnante di professione, negli anni 30 Kovalicko lavorava nell’amministrazione locale. Durante la mobilizzazione ad agosto del 1939, Kovalicko è entrato in missione nel Corpo della Guardia di Frontiera ed é stato inviato nel battaglione “Luninetz” che faceva parte della brigata operativa “Polessie”.

Dopo i primi giorni della guerra con Germania hitleriana, la maggior parte delle divisioni dell’Armata Polacca prima dislocata nella parte orientale dei voivodati polacchi, è stata spostata all’ovest. In una delle battaglie con le forze militari tedesche Wermacht, Marian è stato catturato dai tedeschi, è fuggito ed è tornato a casa. In questo periodo la Bielorussia dell’Ovest già apparteneva ai sovietici. Nell’ ottobre del 1939 Marian ha ricevuto la notifica dal reparto NKVD di Luninetz, che ordinava presentarsi immediatamente. Marian si è presentato, é stato immediatamente arrestato e portato a Minsk a disposizione del NKVD.

Si potrebbe continuare questa tragica lista, ma si capisce che in primavera del 1940 nelle prigioni di Minsk venivano tenute diverse categorie della gente della Seconda Repubblica di Polonia.

Il protocollo dell’incontro tra i collaboratori della procura polacca con colleghi bielorussi nel 1994 testimonia che molto probabilmente a Kuropaty venivano fucilati militari polacchi. Nel documento, in particolare, veniva evidenziato che nelle fosse di Kuropaty sono stati trovati i bottoni della biancheria intima, utilizzata nell’armata della Seconda Repubblica di Polonia.

I collaboratori stessi di NKVD hanno testimoniato che molto probabilmente a Kuropaty vicino a Minsk venivano fucilati anche i polacchi.

Dalle testimonianze della ex guardia carceraria A.Znak:

«Nel 1939 ho ricevuto un incarico come magazziniere. Dovevo raccogliere le cose delle persone arrestate e, quando loro venivano portate via, dovevo riconsegnarle indietro. Sapevo che i collaboratori di NKVD fucilavano le persone arrestate. Anche loro stessi non nascondevano questo fatto. Ma non dicevano dove e chi portavano. Una volta uno dei collaboratori ha bevuto un po’ e ha detto che stanno fucilando la maggior parte le persone “dell’ovest”, nel bosco fuori città, vicino alla strada per Logoisk».

Dalle testimonianze della guardia carceraria della prigione NKVD I.Kmit: «Le pene venivano eseguite dai collaboratori dell’ufficio del comandante di NKVD. Qualche volta, quando i “pazienti” erano troppi, le persone degli altri reparti prestavano aiuto ». (6)

Sull’opinione di Evgeniy Gorelik (4), il procuratore militare V.Somov che dirigeva l’ultima indagine, ha dedicato molto tempo e tanta attenzione a questo problema.
Indubbiamente, le repressioni in Bielorussia, come in tutto il territorio sovietico, si basavano su unico scenario, ma c’erano anche i particolari. Uno dei quali era la vicinanza della frontiera dello stato. Questa circostanza era utilizzata in pieno per creare nella repubblica la mania delle spie, per fare conti sanguinosi con tanta gente comune la cui unica colpa stava nel fatto che erano nati da madre polacca o in Polonia avevano parenti e semplici conoscenti.

Dai documenti dell’archivio dell’Istituto di Storia del Partito presso il Comitato Centrale KPB dove a suo tempo poteva accedere: dalla nota informativa in ZK KP(b)B del commissario del popolo degli affari interni di BSSR B.Berman, ottobre 1937, letteralmente:

«Una parte notevole della popolazione dei khutor (tenute),in particolare, nella zona della frontiera, è inquinata dai contadini abbienti e da elementi antisovietici. La maggior parte delle persone che abitano nelle zone frontaliere sono collegate con i parenti in Polonia.
In base ai dati statistici selettivi, tra 154 case dei khutor situati nella linea frontaliera di 7 km dei rioni Zaslavsky, Minsky, Uzdensky, 75 case, cioè, il 50 % hanno i rapporti con i parenti in Polonia. Per quanto riguarda 118 case, ci sono le prove che i loro abitanti fanno attività controrivoluzionaria, destinata contro i “kolkhoz”.

Nel rione di Kopyl tra 206 case situate nei khutor nella zona frontaliera 88 hanno collegamenti con i parenti polacchi, 141 case fanno attività antisovietica. Nel rione di Starobin tra 175 khutor oltre metà hanno rapporti con i parenti in Polonia, 140 si trovano sotto osservazione come elementi antisovietici.
Quindi, i khutor rappresentano una base sicura e vasta per il lavoro degli enti investigativi polacchi, per le spie e diversanti e le organizzazioni rivoluzionarie guidate dagli agenti polacchi».
Letteralmente: «Al Segretario ZK KP(b)B compagno А.Volkov. Assolutamente segreto. La informo che presso fabbrica del legno di Borisov «Komintern» è stata scoperta da noi l’organizzazione polacca controrivoluzionaria delle spie. È stato stabilito che l’organizzazione è guidata dal direttore della fabbrica, Fedor Blotzky, nato nella provincia di Grodno (Polonia). Nella sua organizzazione antisovietica egli ha attirato tutti gli specialisti ed operai di nazionalità polacca o aventi parenti in Polonia. Chiedo un Suo consenso per gli arresti. 3 gennaio 1938»
Dalla “benedizione” di
А.Volkov: «Аrrestare!»
Dal rapporto NKVD del 6 agosto 1937:

«…in tanti reparti importanti strategici di tutte le sfere dell’industria nazionale della repubblica, i collaboratori di NKVD hanno rilevato tanti polacchi. Per esempio, nel servizio dei pompieri delle imprese di Minsk – 68 persone, nella ferrovia di Minsk — 58, nella fabbrica di nome Voroshilov — 42, nella posta e telegrafo — 27 persone. Nella ferrovia di Vitebsk – 179 polacchi, nella fabbrica di Vitebsk KIM — 194, nella fabbrica «Znamia industrializazii» — 126, nella fabbrica di vetro a Borisov — 122, nella fabbrica di carne a Bobruisk — 132, nella ferrovia di Gomel — 63 polacchi… tutte queste persone indubbiamente sono la base per l’organizzazione del lavoro come spie polacche e rappresentano un serio pericolo dal punto di vista della sicurezza del paese».
Ricordiamo che la caccia attiva alle spie polacche e agli elementi controrivoluzionari è iniziata dopo il discorso pronunciato durante il Plenum ZK VKP(b) a marzo del 1937 dove I.Stalin ha dichiarato, che «…l’attività dannosa delle spie e diversanti degli agenti dei stati esteri …. ha toccato in uno o altro modo quasi tutte le nostre organizzazioni, sia di fornitura, che amministrative e dei partiti».

Dopo qualche mese era stata presa una disposizione del bureau politico di ZK VKP(b) «Elementi antisovietici», la quale consigliava di registrare immediatamente «gli iniziatori di qualsiasi crimine antisovietico e diversanti», arrestare quelli piu’ pericolosi e fucilarli, e deportare i meno attivi nelle «regioni su indicazione di NKVD». Subito dopo è stato emanato il decreto operativo del commissario degli affari interni dell’URSS N.Ezhov № 00485, il quale per la prima volta nelle pratiche criminali del NKVD ha determinato l’oggetto di persecuzione non per classe sociale – contadino abbiente, proprietario di una grande tenuta, ufficiale dell’armata dello Tsar o in base alla classe politica – menscevico, trozkista, nazional democratico, ma in base alla nazionalità.

Dopo questo “esperimento” verrà diffuso dai rappresentanti di alcune nazioni su interi popoli, per esempio ceceni, ingush, tartari di Crimea, tedeschi di Volga. Cominciando dal 20 agosto 1937 il decreto ordinava urgentemente, in tre mesi, di cancellare gli agenti polacchi, che “per tanti anni avevano eseguito sul territorio dell’URSS impuniti attività di diversanti e spie».
Oggi non è un segreto per nessuno che arrestavano, come regola, gruppi, spesso le famiglie. Era sufficiente utilizzare la parola “polacco” o “di Polonia” nel mandato d’arresto.

Evgeniy Gorelik cita come esempio un piccolo villaggio vicino a Minsk, dove è nato. Si chiama Korolishevitchi e ha origine, secondo gli storici, dal XVI secolo.
Nel XIX secolo nel villaggio è arrivato Pan Bronislav Prushinsky, ha costruito nel posto piu’ bello un grande palazzo con tenuta, ha aperto per il popolo la scuola polacca, e supportava la chiesa polacca. Dopo rivoluzione il suo palazzo è stato espropriato, ma la chiesa polacca è rimasta intatta fino all’autunno del 1940.
Gli abitanti locali del villaggio hanno cominciato ad essere arrestati nell’ autunno del 1930, quando in casa del padre, Pavel Plashinsky, i collaboratori di OGPU hanno arrestato un giovane e, come dicevano, talentuoso, poeta Iosif Plashinsky, conosciuto nella letteratura bielorussa come Jazep Pushcha. Al momento dell’arresto Jazep aveva compiuto 27 anni, aveva finito la facoltà di Letteratura dell’Università di Lettere di Leningrado, e aveva pubblicato 4 libri di poesie. Pubblicava le sue poesie regolarmente in riviste e giornali.
Jazep Pushcha è stato dichiarato un accanito nazionalista, negli uffici di OGPU è stato fabbricato il caso secondo cui il poeta apparteneva all’ associazione «Unione di liberazione di Bielorussia» e, insieme con altri 96 letterari, scienziati, dirigenti dei comitati della repubblica, è stato condannato a 5 anni di deportazione nella regione di Kurgan. 5 anni sono diventati 30.
Tuttavia, le repressioni di massa, quando “cerny voron” (una macchina chiamata ”corvo nero”) appariva per strada del villaggio una volta al mese, sono iniziate alla fine degli anni 30. Le spie polacche di “preparazione locale” venivano trovate nelle izbe, nelle strade di Minsk, dove arrivavano i giovani in cerca di lavoro provenienti dal diventato poverissimo villaggio Korolishevitchi.

Ad ottobre è stato incolpato di spionaggio in favore della Polonia e fucilato a Minsk Vikentiy Stanilevitch, un falegname di una fabbrica dove trattavano il legno.

Il 1 novembre con il decreto di NKVD e della Procura dell’URSS, è stato condannato alla fucilazione il «partecipante dell’organizzazione controrivoluzionaria “polska organizzazione voiskova” e fucilato dopo 3 giorni Karol Vorobej, dirigente dell’ufficio postale.

Il revisore delle banche Pavel Plashinsky è stato aggiunto alla stessa organizzazione il 5 novembre ed è stato fucilato 4 giorni dopo.

Il fabbro Iosif Asipovitch per gli stessi «peccati» è stato fucilato nel febbraio 1938. Gli anziani del villaggio su richiesta di Gorelik hanno ricordato i nomi di altri 28 connazionali arrestati negli anni 1937–1938, praticamente una casa su tre una persona non era mai piu’ tornata.
Con crudeltà è stata in questi anni diradata la regione di Dzerginsk, ufficialmente considerata “polacca” perché era situata vicino alla frontiera. In base ai dati storici, circa nelle metà delle famiglie i collaboratori di NKVD hanno trovato e “disattivato” “accanite spie, diversanti e contrabbandieri” che erano rimasti “nascosti fino ad un certo momento”.

Lo stesso destino è toccato al segretario del comitato rionale del partito K.Dombrovsky, il quale, su proposta del dirigente del settore ZK BKP(b) G.Malenkov, arrivato a Minsk in quel periodo, è stato escluso dal partito, arrestato e dopo un paio di settimane fucilato.

Mio padre era nato in Bielorussia dell’ovest, nel 1928, nel villaggio Osovtzy del rione di Drogicin della provincia di Brest. Questo territorio fino al 1939 apparteneva alla Polonia. I genitori di mio padre erano contadini abbienti. Fino al 1939 nel villaggio funzionavano piccole fabbriche che producevano burro, latte, salami, stoffe e il popolo viveva bene. Сon l’arrivo del potere sovietico mio nonno è stato espropriato del cavallo e lui doveva andare al kolkhoz e “inginocchiarsi” tante volte finche riusciva farsi dare un cavallo per portare il fieno. Nel villaggio parlavano il suo dialetto – un po’ polacco, un po’ ucraino, un bielorusso,- probabilmente succede cosi’ nei territori che confinano con più paesi , e questo villaggio era vicino alla frontiera con Polonia e Ucraina.

Fino al 1939 la scuola locale insegnava la lingua polacca e mio padre conosceva il polacco. Il padre di mio padre ha partecipato alla 1 ma Guerra Mondiale, aveva avuto una contusione e riceveva un supplemento di pensione.

Raggiunta l’età di 16 anni, il 15 gennaio 1944, mio padre è entrato nella brigata dei partigiani di nome Kalinin dell’unione di Pinsk, dove è rimasto fino al 25 luglio 1944. Dopo la liberazione del territorio da parte dell’Armata Rossa, le prospettive di studio e lavoro non erano tante e, probabilmente per questo motivo i giovani e , tra di loro, mio padre, nel periodo dopo guerra si sono spostati nel centro del rione.

Nel centro del rione Drogicin, mio padre ha trovato lavoro in RaiFO (Centro Rionale delle Finanze) con mansione di ispettore fiscale, contemporaneamente studiando alla scuola media, per “recuperare” gli anni persi durante la guerra.

Nel 1946 ha terminato a Pinsk la scuola politica del partito di 1 anno ed è entrato nell’Istituto Idrotecnico, terminandolo nel 1949, ottenendo la specializzazione di “tecnico agrario bonificatore”. Fu mandato a lavorare nell’organizzazione “Polessie Melio Proect” con mansione del dirigente della squadra di esploratori.

Nello stesso anno è entrato nella Scuola di Mogilev del MGB BSSR (Ministero di Sicurezza dello Stato), terminandola nel 1951. Nel 1951 era stato assunto in MGB BSR a Minsk con mansione di investigatore speciale. Il 6 agosto 1953 ha dato le dimissioni dal MGB BSSR, a causa della riduzione del personale ed è entrato all’Università di Mosca di M.V.Lomonosov, alla facoltà di Storia, terminando gli studi nel 1958. Il 09 agosto 1958 è stato di nuovo assunto dal KGB presso il Consiglio dei Ministri come investigatore speciale.

6 mesi dopo, 06 febbraio 1959, ha dato le dimissioni e il 16 marzo è stato licenziato dal KGB SM BSSR. Aveva 31 anni. Io – 3. Dopo 1 anno è nata mia sorella.
Nel rapporto dei risultati dell’”operazione polacca” svolta dall’agosto 1937 al settembre 1938 era indicato che erano stati catturati in totale 21’407 persone, tra spie polacche, diversanti e vari rivoluzionari .

L’altra ondata, piu’ forte, di repressioni contro la gente di accento polacco, coincide con la missione di “liberazione” dell’Armata Rossa delle regioni ovest di Bielorussia, con conseguente feroce pulizia delle città e villaggi dagli “elementi controrivoluzionari”. La nota informativa di L.Beria a I.Stalin indica il numero totale dei detenuti nelle prigioni delle regioni ovest di Ucraina e Bielorussia a marzo del 1940 : 18’ 632 persone. Nel secondo rapporto, la maggior parte erano ex poliziotti, agenti, membri delle diverse organizzazioni, proprietari terrieri, fabbricanti e funzionari. Affermando che «tutti sono feroci nemici del sistema Sovietico», NKVD propone di esaminare le pratiche di 11’000 prigionieri “in ordine speciale”, applicando il massimo della pena — la fucilazione». E riceve l’«OK» dal capo dello Stato.
Purtroppo, finora ufficialmente non si conosce il numero esatto dei cittadini detenuti nelle prigioni dell’ovest di Bielorussia fucilati in primavera del 1940. L’autorità bielorusse non hanno fatto seguito all’esempio di Russia e Ucraina e non hanno consegnato alla parte polacca la lista con i cognomi delle persone deportate per ordine di L.Beria datato il 22 marzo a Minsk e fucilate in quel periodo. Non è escluso che durante l’ultima inchiesta sul caso Kuropaty questo fatto della storia di Bielorussia sia stato studiato bene ma finora i risultati non sono stati divulgati alla popolazione. Questo fatto puo’ essere una chiave principale per scoprire l’enigma delle tombe di Kuropaty, nelle quali ci sono cosi tanti oggetti personali stranieri. (4).

Ad oggi la pratica su Kuropaty conta oltre 15 volumi. Tutti materiali confermano che le fucilazioni erano eseguite dai collaboratori NKVD. La Russia, il Kazakistan, i Paesi Baltici e le altre repubbliche ex sovietiche hanno commemorato le vittime innocenti delle repressioni di Stalin. E’ ora che anche la Bielorussia faccia lo stesso riguardo i cittadini fucilati nel bosco di Kuropaty.

In Bielorussia non esiste una statistica ufficiale per quanto riguarda i cittadini repressi. L’unica fonte che viene citata nei rapporti ufficiali è il libro Vladimir Adamushko “Repressioni politiche negli anni 20-50 in Bielorussia”.
Il numero esatto delle vittime represse nel bosco di Kuropaty ad oggi non si conosce e, secondo le diverse stime, puo’ contare:

fino a 7’000 persone (secondo dati del Procuratore Generale della Repubblica di Bielorussia О.Bazhelko;

non meno di 30’000 persone (secondo dati del Procuratore Generale della Repubblica di Bielorussia G. Тarnavsky);

fino a 100’000 persone (secondo rapporto informativo «Belarus»),

da 102’000 fino a 250’000 persone (secondo dati citati nell’articolo di Zenon Pozniak nella rivista «Litaratura e mastaztva»);

250’000 persone (secondo dati del Professore dell’Università di Vrozlav Zdislav Vinnizkiy);

e oltre (secondo dati dello storico britannico Norman Davice).

Secondo quanto detto del capo della divisione bielorussaМеmorial”, lo storico Igor Kuznetzov, durante gli anni del totalitarismo sovietico le fucilazioni della popolazione si facevano nei 48 centri abitati di Bielorussia, se ne conoscono oltre 120 posti. Secondo dati semiufficiali, in Bielorussia erano state represse circa 600’000 persone, 250’000 da parte degli enti giudiziari e 350’000 per ordine amministrativo.

Secondo i dati aggiornati citati da Kuznetzov, si stima che durante gli anni 30-40 in Bielorussia furono eliminate da 1.430.000 fino a 1.625.000 persone.
Sul territorio di Minsk furono fucilate non meno di 377’000 persone, ha detto Kuznetzov. La maggior parte di loro è stata giustiziata a Minsk e nei dintorni. Circa 40’000 sono stati fucilati nella provincia di Mogilev, 41’000 — nella provincia di Gomel, 36’000 — nella provincia di Bitebsk, circa 28’000 — nella provincia di Minsk, 11’ 000 — nella provincia di Grodno e 8’000 — nella provincia di Brest. (8)
Dal 1993 Kuropaty è inserito nella lista Governativa dei posti che rappresentano il valore storico e culturale della Repubblica di Bielorussia, come luogo di sepoltura delle vittime delle repressioni politiche durante gli anni 1930—1940. Kuropaty ha valore di monumento storico e culturale di 1ma categoria, categoria di cui, in conformità alla Legge della Repubblica Bielorussia “Tutela dell’eredità storica e culturale”, i valori unici, spirituali e morali, rappresentano l’interesse internazionale”.(5).

Secondo l’opinione di Zenon Posniak, l’importanza di sapere la verità su Kuropaty sta nel fatto che questa verità è diventata “una prova irrecusabile del genocidio che l’occupante russo faceva con il popolo bielorusso, mascherandosi dietro al comunismo, come forma sociale ed ideologia del terrore, come metodo di giustificazione dell’uccisione dell’uomo». (9).
A Kuropaty, grazie agli ebrei bielorussi, sono stati inaugurati due monumenti dedicati alle vittime dello stalinismo: un obelisco in granito rosso e grigio, con l’immagine dello scudo di Davide, che simboleggia l’inizio femminile e maschile, e anche candelabro a sette braccia di Menorah che simboleggia la luce, la fede e la speranza, che durante millenni di sofferenze hanno portato il popolo ebreo verso l’ideale di raggiungimento di giustizia tra gli uomini e le nazioni.

Sull’obelisco è scolpito il testo: “Ai nostri credenti-ebrei, ai fratelli del Libro – cristiani e musulmani – vittime dello stalinismo – dagli ebrei bielorussi”. Sotto il testo si ripete in yiddish.

Su iniziativa dei membri dell’associazione Меmorial” il 29 ottobre in Bielorussia si festeggia il Giorno della Memoria delle vittime delle repressioni politiche. “Questa data è simbolica per i bielorussi, perché proprio nella notte tra il 28 al 29 ottobre 1937 a Minsk sono stati fucilati oltre cento noti rappresentanti dell’ intellighenzia bielorussa: scrittori, scienziati, insegnanti, commissari del popolo”, – ha evidenziato dell’intervista BelaPAN lo storico Igor Kuznetzov.

Nel bosco a Kuropaty c’e una collinetta, dove un pittore ha scolpito sui sassi le icone. L’autore delle icone è Anatoliy Alekseevitch Kuznetzov, pittore della parrocchia della chiesa ortodossa di Minsk Svieto-Voskresenskaya.

Anatoliy dice che vede già l’immagine sul sasso e per questo chiama la sua arte con-creazione, siccome dipinge con i colori su quello che è già stato creato dalla natura sul sasso.

Il suo primo sasso – icona Anatoliy l’ha trovato a Kuropaty.

Sul sasso il pittore ha visto l’immagine del venerabile Serafim Sarovski. Questo sasso – icona è stato il primo dell’esposizione che si puo’ vedere adesso nelle vicinanze del complesso memoriale di Kuropaty – 44 massi con le immagini dei santi. (7)

Le icone del pittore Anatoliy Kuznetzov si possono vedere nel museo a cielo aperto situato vicino alla Chiesa di Risurrezione di Cristo, all’incrocio tra via Miroshnicenko e via Gamarnika. In via Gamarnika dove ha vissuto i suoi ultimi 37 anni di vita mio padre, “ufficialmente pazzo”, lo storico con l’istruzione dell’Università di Mosca, che per tutta la vita ha lavorato come un semplice operaio, vivendo in miseria, perché non ha voluto “servire” il partito degli assassini.

 Episodio 18. Riabilitazione.

Alla fine della sua vita mio padre si è voltato verso la chiesa. Riceveva lettere, andava agli incontri. Mia madre anche per questo rideva di lui – arrogante, lei poteva con una frase schiacciare un uomo già distrutto.

Dopo la perestrojka hanno cominciato a ricostruire le chiese e sulla nostra via Gamarnika il popolo ha iniziato raccogliere il denaro per costruirne una.

La chiesa è stata aperta nel 2008. Mio padre è morto 1 anno prima.

 Ogni vita umana deve avere un senso alto.

L’anima umana nasconde tanti lati negativi, altrimenti non si possono spiegare l’odio, l’invidia, l’avarizia, l’intolleranza, la predominanza del materialismo sullo spirito. Sempre di piu’ si manifesta la tendenza a non condividere le idee di collaborazione, di collettivismo, di libertà di pensiero e di accessibilità di informazione per tutti.

Con l’invenzione di internet, la noosfera informativa della coscienza collettiva globale, della quale sognava ancora nel 1925 l’Accademico Vernadsky, ha creato reti non solamente di coscienza positiva, ma ha preso anche le forme negative del controllo tecnologico mondiale.

La società diventa sempre più tecnologica, rischiando di sminuire l’attenzione verso la natura, l’ambiente circostante e il mondo interiore dell’uomo.

La società sta rischiando di militarizzare, robotizzare, zombizzare l’uomo, togliendo quella sfera spirituale ed emotiva che si innamora, disegna, crea musica, spinge a fare gesti buoni e nobili.

O spinge a non commettere certe azioni negative.

Cosi questa scelta diventa DESTINO. O NON DESTINO.

Nessuna madre e nessun padre desiderano per il proprio bambino un destino da assassino, narcotrafficante o venditrice del proprio corpo.

Tutti genitori desiderano per i propri figli un futuro felice.

Ma i bambini diventano assassini, narcotrafficanti e la prostituzione come fonte di guadagno è conosciuta da 2’000 anni…

Cosi si sceglie il destino. Si sceglie tra il bene e il male.

Il male è come una porta nera in un vecchio castello, una porta che deve restare sempre chiusa.

In quale fase della loro vita i nostri bambini cresciuti diventano assassini, narcotrafficanti o iniziano a vendere il proprio corpo?

In quale stato della propria anima aprono questa porta nera del vecchio castello, la porta che deve rimanere chiusa per sempre con mille giri di chiave?

Non è vero che soldi non hanno odore. Non possono non avere odore i soldi guadagnati mettendo in dipendenza dalla droga una fanciulla 20-enne…

Non possono non avere odore i soldi guadagnati sulla morte da overdose di un fanciullo 20-enne….

Non possono non avere odore i soldi guadagnati sulle malattie di chi abita sulle terre inquinate, nelle quali sono stati interrati rifiuti industriali cancerogeni…

In quale fase della propria vita nostri dolci piccoli bambini cresciuti dimenticano i valori universali di “non uccidere, non rubare, non invidiare, non diffamare il prossimo…?»

Nessun bambino al mondo nasce con il desiderio di ammazzare l’altro.

La società dovrebbe seriamente pensare come organizzare l’insegnamento nelle scuole dei valori universali morali ed etici.

Se fino ad oggi esistono sistemi di repressione contro le persone che hanno scelto di non lavorare per le organizzazioni con la reputazione compromessa a causa del genocidio della popolazione civile, significa che fino ad oggi continua il degrado della società.

Una scelta di cui prezzo era il Destino distrutto.

Una vita distorta, perseguitata…

Ho “scavato” quasi 80 anni di storia anno dopo anno per capire le cause del destino del mio padre.

Come sarebbe stato il suo destino se non fosse stato represso?

Come sarebbe stato il mio destino se a mio padre non avessero fabbricato i documenti medici?

Magari sarebbe diventato uno scienziato o direttore di scuola o un semplice insegnante di storia, forse anche un rappresentante per i diritti dell’uomo dell’ONU…

Invece subito dopo l’università al 30-enne specialista fu imposto di lavorare come un operaio in una fabbrica di orologi, per tutta la vita.

Un operaio con il diploma di facoltà di storia dell’università di Lomonosov a Mosca, la piu’ prestigiosa della Russia. Era controllato, con divieto di espatrio, le sue attività mentali erano compromesse dai medici, che gli avevano rilasciato la cosi detta “carta bianca”.

Tutto questo perché ha avuto il coraggio di divulgare gli orrori del sistema KGB.

Quasi 50 anni di silenzio.

Non si può far tornare la vita, il dono più sacro che ha l’uomo.

Il destino di mio padre poteva essere diverso. E adesso a 7 anni dalla sua scomparsa, il suo onesto nome deve essere riabilitato.

A mio padre deve essere restituito quello che gli è stato tolto:

la sua lealtà, il suo buon nome, la sua dignità, la sua mente.

Mio padre guardava dalla finestra del 4 o piano della nostra casa in via Gamarnika e vedeva la collina; dietro c’era il villaggio Znianka e il quel bosco, dove nel 1937 NKVD (ex nome KGB) ha fucilato da 30’000 a 100’000 persone civili, bielorussi, polacchi e lituani.

Guardava senza avere la possibilità di raccontare di questo orrore al mondo.

Solo nel 1988, 50 anni dopo il genocidio, il mondo ha saputo di Kuropaty.

Ho fatto la mia strada lunga piu’ di 45 anni per salire su questo Everest.

Avevo 12 anni, quando io, piccola ragazza indifesa, mi vergognavo di mio padre. La ragazza è cresciuta ed è diventata forte per difendere l’onestà di suo padre e restituirgli la dignità.

Sono salita sul suo Everest e ho alzato la bandiera in suo onore e in onore di tutte le persone nel mondo che hanno subito le repressioni negli stati totalitari.

 

Questo era il mio Debito verso mio padre.

Il mio Dovere di coscienza.

In nome del Padre

In nome del Figlio.

Il terzo millennio deve diventare il periodo di purificazione dell’umanità dalle catene del totalitarismo, il periodo in cui finiscono le persecuzioni contro i nonconformisti, un millennio di protezione della libertà individuale e di coscienza, dei diritti dell’uomo, contro ogni violenza approvata dal totalitarismo, contro le diversità razziali.

Tatiana Mikhaevitch, 10.12.2014

Scaricare l’articolo nel formato pdf: 08.12.2014 Dimenticare significa tradire_IT_40 pp

Kuropaty-468

                                                                                               Foto Vologinsky V.G., 31 luglio 2009.

Bibliografia:

1.Игорь КУЗНЕЦОВ, Куропатское дело: 20 лет спустя, 21 июня 2008, БелГазета

2.Пазьняк, Шмыгалев, “Лiтаратура i мастацтва”, “Шумят над могилой сосны”, 16 сентября 1988 г.

3.Пазьняк, Шмыгалев, “Лiтаратура i мастацтва”, “Курапаты – дарога смерцi“, 3 июня 1988 г.

4.Евгений Горелик, «БДГ», Пляски вокруг куропатских могил, 12/06/2002.

5. www.ru.wikipedia.org-куропаты.

6. Игорь Мельников, КУРОПАТЫ — ОБЩАЯ БОЛЬ ПОЛЯКОВ И БЕЛОРУСОВ, http://www.novpol.ru/index.php?id=1832, 03/2013

7. www.minskoldnew.com

8. Историк Игорь Кузнецов: По уточненным данным, в Беларуси в 1930-1940-х годах было репрессировано до 1 миллиона 625 тысяч человек, www.news.tut.by/society/372431, 28 октября 2013.

9. 20 лет назад мир узнал о массовых расстрелах в белорусских Куропатах, 3 чэрвеня 2008, www.represii-by.info

10. Выписка из центрального архива КГБ РБ, дело № Е-049523.

 

 


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