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  • “Affare” PETROLIO. Punta dell’Iceberg. Basilicata. PARTE 4

    Analisi di 12 Pozzi Artesiani, comune Corleto Perticara, fonte C.O.V.A. CONTRO

    Contenuto:

    1. Distruzione degli ecosistemi naturali

    2. Basilicata, il più grande serbatoio nazionale dell’acqua

        2.1. SORGENTI

    3. Concessioni petrolifere in Basilicata

        3.1. Fasi di lavorazione e sostanze chimiche

    4. Centro Olio Val d’Agri, C.O.V.A.

    5. Parchi della Regione Basilicata e conflitto con Pozzi

    6. FRACKING. MORIA DEI PESCI. CONSUMO DELL’ACQUA. SCARTI

        PETROLIFERI. SORGENTI RADIOATTIVE

    7. Terremoti indotti, deformazioni e rotture dei Pozzi. Pozzi di re-iniezioni

    8. Smaltimento dei fanghi di perforazione

    9. Lago Pertusillo

    10. Analisi chimiche

    11.Contaminazione degli alimenti

    12. Pozzi petroliferi PERGOLA 1, TEMPA ROSSA, MONTEGROSSO

    13. IMPATTO DELLE TRIVELLE IN VAL D’AGRI SULLA SALUTE UMANA,  

          FAUNA E FLORA

    14. Casi legali in Basilicata

    15. Posizione ENI, Transizione ecologica, LOBBY del PETROLIO

    Bibliografia………………………………………………………………………………..156

    Abbreviazioni……………………………………………………………………………..167

    Vedi SUMMARY nell’articolo PARTE 2.

    Leggere tutto l”articolo PARTE 4:

    14.11.2021

    Dr.Tatiana Mikhaevitch, Ph.D. in Ecology, Academy of Sciences of Belarus

    Member of the Italian Ecological Society (S.IT.E.), Member of the International Bryozoological Society (I.B.A.)

    Member of the International Society of Doctors for the Environment (I.S.D.E.)

    info@plumatella.it, tatianamikhaevitch@gmail.com


  • “Affare” PETROLIO. Punta dell’Iceberg. Basilicata. PARTE 3

    Concentrazioni di idrocarburi nei sedimenti del Lago Pertusillo, mg/kg, Colella A. e di Bello G., 2012

    Contenuto:

    1. Distruzione degli ecosistemi naturali

    2. Basilicata, il più grande serbatoio nazionale dell’acqua

        2.1. SORGENTI

    3. Concessioni petrolifere in Basilicata

        3.1. Fasi di lavorazione e sostanze chimiche

    4. Centro Olio Val d’Agri, C.O.V.A.

    5. Parchi della Regione Basilicata e conflitto con Pozzi

    6. FRACKING. MORIA DEI PESCI. CONSUMO DELL’ACQUA. SCARTI

        PETROLIFERI. SORGENTI RADIOATTIVE

    7. Terremoti indotti, deformazioni e rotture dei Pozzi.

        Pozzi di re-iniezioni

    8. Smaltimento dei fanghi di perforazione

    9. Lago Pertusillo

    10. Analisi chimiche

    11.Contaminazione degli alimenti

    12. Pozzi petroliferi PERGOLA 1, TEMPA ROSSA, MONTEGROSSO

    13. IMPATTO DELLE TRIVELLE IN VAL D’AGRI SULLA SALUTE UMANA, FAUNA e FLORA

    14. Casi legali in Basilicata

    15. Posizione ENI, Transizione ecologica, LOBBY del PETROLIO

    Bibliografia………………………………………………………………………………….156

    Abbreviazioni……………………………………………………………………………….167

    Vedi SUMMARY nell’articolo PARTE 2.

    Leggere tutto l’articolo PARTE 3:

    05.10.2021

    Dr.Tatiana Mikhaevitch, Ph.D. in Ecology

    Academy of Sciences of Belarus, Member of the Italian Ecological Society (S.IT.E.)

    Member of the International Bryozoological Society (I.B.A.),

    Member of the International Society of Doctors for the Environment (I.S.D.E.),

    info@plumatella.it, tatianamikhaevitch@gmail.com


  • “Affare” PETROLIO. Punta dell’Iceberg. Basilicata. PARTE 2

    Carta dei titoli minerari in Basilicata, 2019

    Contenuto:

    1. Distruzione degli ecosistemi naturali

    2. Basilicata, il più grande serbatoio nazionale dell’acqua

        2.1. SORGENTI

    3. Concessioni petrolifere in Basilicata

        3.1. Fasi di lavorazione e sostanze chimiche

    4. Centro Olio Val d’Agri, C.O.V.A.

    5. Parchi della Regione Basilicata e conflitto con Pozzi

    6. FRACKING. MORIA DEI PESCI. CONSUMO DELL’ACQUA. SCARTI  

        PETROLIFERI. SORGENTI RADIOATTIVE

    7. Terremoti indotti, deformazioni e rotture dei Pozzi. Pozzi di re-iniezioni

    8. Smaltimento dei fanghi di perforazione

    9. Lago Pertusillo

    10. Analisi chimiche

    11.Contaminazione degli alimenti

    12. Pozzi petroliferi PERGOLA 1, TEMPA ROSSA, MONTEGROSSO

    13. IMPATTO DELLE TRIVELLE IN VAL D’AGRI SULLA SALUTE UMANA

    14. Casi legali in Basilicata

    15. Posizione ENI, Transizione ecologica, LOBBY del PETROLIO

    Bibliografia………………………………………………………………………………..156

    Abbreviazioni……………………………………………………………………………..167

    SUMMARY

    La Regione Basilicata è uno dei più importanti serbatoi di acque sotterranee e superficiali destinate al consumo umano della Nazione.

    La Regione Basilicata è anche il più ricco giacimento di idrocarburi d’Italia.

    Nel 2012 la Commissione Parlamentare ha evidenziato nella Regione Basilicata “…890 siti inquinati censiti, la metà dei quali connessi alle attività di prospezione petrolifera”.

    Secondo i dati ufficiali dell’Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse (UNMIG), in 93 anni, dal 1921 al 31 dicembre 2014 in Basilicata sono stati perforati 484 Pozzi.

    Acqua e idrocarburi. La convivenza di queste 2 sostanze è incompatibile.

    L’attività petrolifera compromette la qualità delle acque.

    La Regione Basilicata ha un reticolo idrografico ricchissimo: 8 fiumi principali, solo nella Val d’Agri  ci sono 23 strutture idrogeologiche, 650 Sorgenti e 2 invasi d’acqua.

    Nella Regione Basilicata manca il Piano di Tutela delle Acque previsto dal Codice dell’Ambiente che permette alle compagnie petrolifere di fare altre richieste per trivellare nelle zone ricche delle preziose risorse sorgive e anche nei Parchi.

    Nel 2019 l’incidenza delle attività estrattive riguardava il 35 % del territorio della Regione Basilicata. In caso di accoglimento delle numerose istanze di permesso, l’incidenza passerebbe al 65 % del territorio !

    Nella Val d’Agri circa il 60 % delle aziende agricole lucane hanno chiuso la loro attività, in quanto i prodotti coltivati erano inquinati da idrocarburi e metalli pesanti (fragole, uva, olivi, peperoni, miele, latte, vino….)

    ENI è diventata il più grande proprietario terriero della Val d’Agri.

    Praticamente, tutta la Regione Basilicata è “coperta” dalle trivellazioni, ricerche, permessi di ricerca di idrocarburi sia in orizzontale che in profondità, considerando che le trivellazioni arrivano a forare la terra fino a 3-4-5-6-7 km.

    Durante la fase di perforazione dei Pozzi, per facilitare la penetrazione delle trivelle nel sottosuolo, vengono usate da 250 a 1’300 sostanze chimiche, secondo fonti diverse, dannose all’ambiente e all’uomo.

    La loro composizione chimica è coperta da segreto industriale.

    Si tratta di fluidi iniettati che accompagnano l’intera vita del Pozzo, che inquinano per anni o decenni il sottosuolo, il suolo, le falde acquifere, producendo ogni giorno diverse tonnellate di fanghi di lavorazione, che devono essere smaltite.

    I Pozzi di estrazione idrocarburi attivi in Basilicata sono 126 di cui 43 in provincia di Potenza e 83 in provincia di Matera.

    In Val d’Agri ci sono 40 Pozzi per l’estrazione di petrolio, di cui 26 in produzione, e 1 Pozzo di Costa Molina 2 a Montemurro è destinato a re-iniezione fluidi (rifiuti di produzione petrolifera).

    Nel comune di Viggiano dove si trova il Centro Oli C.O.V.A. ricadono 20 Pozzi petroliferi.

    Tra gli inquinanti emessi dall’impianto C.O.V.A. ci sono NOx, SO2, CO e particolato, l’idrogeno solforato (H2S), i Composti Organici Volatili (V.O.C.).

    Durante il processo di idro-desolforazione nel Centro C.O.V.A. una parte di idrogeno solforato (H2S) viene dispersa nell’aria da un inceneritore a fiammella, che emette circa altri 70 inquinanti. Le altezze dei pennacchi con cui le sostanze chimiche escono dai camini variano da 12 a 33 m, la temperatura da 395 a 1’083 °C, la velocità di uscita da 3,1 a 21,4 m/s.

    In Italia i limiti di emissione di H2S sono 5’000 volte superiori a quelli degli Stati Uniti:

    Organizzazione Mondiale della Sanità: 0,005 ppm di H2S

    USA: Il Governo Federale consiglia 0,001 ppm (ciascuno stato decide autonomamente)

    Massachussetts: 0,0006 ppm

    Oklahoma:  0,2 ppm

    California:   0,03 ppm

    Canada, Alberta: 0,02 ppm

    ITALIA:  Industria non petrolifera – 5 ppm

                 Industria petrolifera – 30 ppm

    Il monitoraggio di questa sostanza in Val d’Agri avviene solo 2-3 volte l’anno.

    Oltre ai danni causati direttamente all’uomo, l’H2S ha effetti nocivi su piante, animali e pesci ed ha effetto di bio-accumulo.

    In 16 anni, dal 2001 al 2017, C.O.V.A. ha contaminato 26’000 m2 del suolo, pari al 15 % dell’area di 180’000 m2 che occupa, ha smaltito irregolarmente oltre 854’000 t di sostanze pericolose.

    In 7 anni, dal 2012 al 2019, nel Centro sono stati più di 100 incidenti, che sono stati sminuiti o taciuti da ENI.

    Il paradosso è che C.O.V.A. si trova in un’area naturalistica di pregio, una delle più importanti d’Europa.

    Le aree naturali protette della Basilicata occupano circa il 30 % della superficie, con 120 aree protette organizzate in un sistema dei 3 Parchi Nazionali, 3 Parchi Regionali, 14 Riserve Naturali statali e regionali, 5 Oasi WWF, 82 SIC, ZSC e ZPS (Rete Natura 2000), 2 Zone Umide Ramsar, 9 aree IBA.

    Il Parco Nazionale del Pollino è il parco più grande d’Italia e considerato Patrimonio UNESCO.

    La storia dell’istituzione del Parco Nazionale Val d’Agri Lagonegrese è stata fortemente influenzata dall’attività estrattiva.

    Qualcuno ha definito il Parco Nazionale della Val d’Agri Lagonegrese il Parco della Val d’AGIP, per sottolineare la rapacità delle compagnie petrolifere che pretendono di effettuare attività estrattive dentro un Parco Nazionale.

    L’istituzione del Parco della Val d’Agri prevista nel 1991, è stata conclusa solo 16 anni dopo, l’8 dicembre 2007, a causa delle forti pressioni di alcune multinazionali petrolifere.   

    Si è passati da una prima proposta di perimetrazione pari ad un’estensione di circa 160’000 ettari all’attuale area frastagliata di 70’000 effettivi.

    56 % in meno, rispetto alla prima versione di perimetrazione.

    Tuttavia, nel 2017 ENI presenta la richiesta di nuova perforazione, nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Alta Val D’Agri Lagonegrese, che risultava inammissibile nel rispetto della funzione di protezione del capitale naturale del Parco.

    Nei limiti della concessione Val d’Agri ricadono aree comprese nel Parco Nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese, nel Parco Regionale Gallipoli Cognato e Piccole Dolomiti Lucane.

    Il territorio della concessione Val d’Agri è caratterizzato dalla presenza di 11 siti di Rete Natura 2000 (SIC/ZSC/ZPS).

    Non esiste alcuna normativa italiana che definisce una distanza minima per l’esercizio di attività di estrazione petrolifera dai siti ZPS/SIC/ZSC/Parchi.

    Secondo i dati di Alberto Diantini dell’Università di Padova, il 60 % dei 40 Pozzi sono situate alla distanza di 0,88 km – 1,11 km da ZPS e dal Parco Nazionale Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese.

    Ad oggi 14 di 40 Pozzi si trovano all’interno del Parco Nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese.

    Emerge che il 47,5 %dei 40 Pozzi sono situati alla distanzada0,66 km a 1,19 km dai bacini idrici, il 30 %dei 40 Pozzi – a 0,58 km da fiumi, laghi o Sorgenti,il 12,5 %dei Pozzi – fra 1,25 km e i 1,84 km da fiumi, laghi o Sorgenti, il 10 % – tra 1,97 km e 2,47 km da fiumi, laghi o Sorgenti.

    Secondo i dati di Alberto Diantini, la media distanza dei Pozzi petroliferi dalle aree SIC/ZSC è di 2,32 km, da ZPS1,93 km, dal Parco1,97 km, dai fiumi/laghi/Sorgenti0,98 km !

    Data la grande importanza dell’invaso del Pertusillo dal punto di vista dell’approvvigionamento idrico a scopo potabile, esiste il rischio serio sia per il mantenimento dei delicati equilibri ecologici dell’area sia per la salute umana.

    La Prof.ssa Geologo Albina Colella ha trovato nelle Sorgenti LaRossa 2 e LaRossa 3 situati a poco più di 2 km dal Pozzo di re-iniezione petrolifera Costa Molina 2, valori di alluminio 1’700 volte in più e gli idrocarburi totali 10 volte in più, rispetto ai valori normali nelle Sorgenti.

    Secondo la Prof.ssa Colella, “una potenziale fonte di contaminazione di queste acque potrebbe essere rappresentata da perdite di acque di scarto petrolifero dal Pozzo di re-iniezione Costa Molina 2, dovute a cedimenti della integrità strutturale del Pozzo e diffusione di tali acque nel sottosuolo e contaminazione delle acque sotterranee”.

    A circa 1,8 km dal Centro Oli di Viggiano si trovail Lago artificiale Pertusillo che fornisce l’acqua potabile alla Puglia e alla Basilicata. Ogni giorno 2’658’861 persone delle province di Bari, Taranto e Lecce bevono l’acqua proveniente dal Lago Pertusillo. Con la stessa acqua vengono irrigati 35’000 ettari di campi della Basilicata.

    Il Lago rientra nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese.

    I Pozzi di petrolio sono a meno di 1 km dal Lago e pescano a 4-5 km sotto la superficie.

    Nei pesci del Lago Pertusillo sono stati rinvenuti idrocarburi, PCB, metalli pesanti, microcistine. Nell’acqua e nei sedimenti del Lago sono stati rinvenuti idrocarburi, metalli pesanti, naftalene, diossine, PFOS.

    L’ARPAB ha censito la presenza di 21 metalli pesanti nelle acque del Lago, 5 dei quali passati indenni perfino agli impianti di potabilizzazione.

    Analisi e studi eseguiti sul territorio della concessione petrolifera dimostrano il forte inquinamento sia delle falde acquifere che degli invasi idrici, con la presenza di metalli pesanti in concentrazione superiore ai limiti europei, nonché un’anomala distribuzione di tumori e malattie cardiorespiratorie nell’area.

    Il problema c’è: il trascinamento degli inquinanti ambientali nella catena alimentare, ma su questo aspetto c’è troppa omertà di egoistica connivenza.

    Analizzando 12 Pozzi artesiani nel comune di Corleto Perticara, in vicinanza del giacimento Tempa Rossa, l’organizzazione ecologista C.O.V.A. CONTRO ha trovato:

          manganese 40 volte oltre il limite di legge;

          boro  – 1,6 volte oltre il limite;

          ferro 2,6 volte oltre il limite;

          nitriti – 6,25 volte oltre il limite;

          fluoruri – 2,8 volte oltre il limite;

          alifatici clorurati – 2,1 volte oltre il limite;

          cloroformio 146 volte oltre il limite;

          bromodiclorometano 7,5 volte oltre il limite;

          benzo(a)pirene – 2,5 volte oltre il limite.

    Gli effetti sulla salute, determinati dalle estrazioni petrolifere, sono ben noti essendo stati ampiamente studiati in varie località del mondo. Tali studi hanno dimostrato che le popolazioni residenti nel raggio di 500 m – 1 km dai Pozzi petroliferi hanno una incidenza maggiore sia di tumori, anche infantili, che di patologie croniche e malformazioni congenite.

    Nonostante in Nigeria in 50 anni sono stati perforati 606 Pozzi petroliferi che fanno l’80 % del PIL nazionale, il paese africano rimane uno dei più poveri.

    Nonostante 35 anni di estrazioni, anche la Basilicata rimane la regione più povera del sud e sicuramente una tra le più malate.

    Lo studio epidemiologico finanziato dai comuni di Viggiano e Grumento Nova realizzato su 6’795 residenti per il periodo 2000-2014 ha scoperto che le ospedalizzazioni per le malattie respiratorie croniche nelle donne erano 202 % in più e, negli uomini, erano 118 % in più, nelle zone di maggiore esposizione agli inquinanti, che uscivano in aria dai camini di C.O.V.A.

    Dalle analisi di mortalità è statoosservato un eccesso per le malattie del sistema circolatorio nelle donne +63 %, per uomini+donne  +41 % nelle zone di maggiore esposizione agli inquinanti, che uscivano in aria dai camini di C.O.V.A.

    La mortalità a Viggiano e Grumento Nova, rispetto a quella di 20 comuni della concessione Val d’Agri, ha evidenziato eccessi a Viggiano e a Grumento Nova  per tutte le cause + 19 % tra le donne e + 15 % per entrambi, invece per le malattie del sistema circolatorio + 32 % di cui + 45 % per malattie ischemiche del cuore tra le donne.

    Tra il 2011 e il 2014 il tasso di mortalità in un piccolo villaggio Corleto Perticara, che ha meno di 3’000 abitanti e che si trova a 4 km in linea d’aria dal Centro di Tempa Rossa e a 20 km da quello di Viggiano, era il 73 % più alto del tasso regionale e il 69 % più alto del provinciale.

    Tra il 2011 e il 2014 nella provincia di Potenza il tasso di ospedalizzazione per tumore maligno nei maschi tra 0 a 14 anni è cresciuto del 48 %, il tasso di dimissioni per chemioterapia era più alto rispetto al nazionale del 37 % per le bambine e del 59 % per i bambini.

    Nel 2017 circa 200 residenti dei comuni di Viggiano e Grumento Nova in Val d’Agri sono stati interrogati, riguardo la loro percezione dell’impatto del C.O.V.A. sulla salute umana.

    Risultava che tra le persone intervistate:

       95,9 %  ritenevano che C.O.V.A. è molto pericoloso per l’ambiente;

       98,6 % ritenevano che C.O.V.A. è molto pericoloso per la salute;

       86,1 % ritenevano che tutte le persone sono potenzialmente esposte ai potenziali rischi del C.O.V.A.;

       66,3 % ritenevano grave la situazione ambientale del comune di residenza;

       67,1 % ritenevano che è molto probabile avere allergie;

       72,1 % ritenevano che è molto probabile avere malattie respiratorie acute;

       57,1 %  ritenevano che è molto probabile avere malattie cardiovascolari;

       49,1 %  ritenevano che è molto probabile avere infertilità;

       74,4 % ritenevano che è molto probabile avere varie forme di cancro;

       69,5 %  ritenevano che è molto probabile avere leucemia;

       61,0 %  ritenevano che è molto probabile avere malformazioni congenite.

    61,6 % delle persone non si ritenevano sufficientemente informate sulla presenza dei pericoli nell’area in cui vivono.

    Nel 2020 la Fondazione Ambiente Ricerca Basilicata (FARBAS) nei limiti dello Studio EPIBAS, ha interrogato circa 600 persone, residenti nelle aree interessate dalle attività di estrazione petrolifera in Basilicata.

    Le persone intervistate hanno mostrato una percezione molto alta di pericolo alla salute, una insoddisfazione sull’informazione ricevuta e una bassa fiducia nell’affidabilità di media, associazioni, pubblica amministrazione in relazione alle informazioni sui pericoli ambientali.

    Lo Studio ha scoperto che:

    73,8 % delle persone intervistate che vivono vicino al centro C.O.V.A. e nella zona di trivellazione Tempa Rossa, ritenevano che l’estrazione petrolifera rappresenta un pericolo;

    solo il 26 % ritenevano affidabili le informazioni fornite da Regione Basilicata (Dipartimento di Salute, Dipartimento di Ambiente);  

    solo il 37 % ritenevano affidabili informazioni, fornite da aziende sanitarie locali;  

    solo il 24,4 % ritenevano affidabili informazioni fornite da ARPA;

    solo il 25 % ritenevano affidabili informazioni fornite da comuni;

    solo 22,6 % ritenevano affidabili informazioni fornite da ISPRA e ISS;

    solo il 17,4 % ritenevano affidabili informazioni fornite dall’Europa;

    solo il 19,8 % ritenevano affidabili informazioni fornite dal Governo;

    solo il 25,7 % ritenevano affidabili informazioni fornite da mezzi di comunicazione (TV/Radio/giornali).  

    Mentre ENI e TOTAL facevano finta di essere preoccupate per il fabbisogno energetico dell’Italia, per le ricadute sull’economia e l’occupazione, perché pagavano solo il 7 % di royalties (il 4 % se il petrolio è estratto in mare), per poter avere il permesso dal Governo di spremere la terra altrui e saccheggiare le risorse, quando in Venezuela le royalties al Governo sono l’85 %, in Norvegia80 %, in Bolivia ed Ecuador – oltre il 50 %, l’aria, il suolo, l’acqua, l’agricoltura, il turismo e la salute del popolo della Val d’Agri hanno avuto le ricadute drammatiche.

    L’estrazione petrolifera è una grave ipoteca sul futuro delle terre.

    L’unico futuro ecologico possibile per la Basilicata è il futuro delle energie rinnovabili.

    Le energie fossili e le trivellazioni sono il passato.

    “Affare” PETROLIO è come una punta dell’Iceberg la cui enorme ENTITÀ NERA distrugge ecosistemi naturali, comporta perdita di biodiversità e rischio di nuove malattie infettive, inquina l’area, il suolo, le acque superficiali e le sotterranee, di cui fanno parte le Sorgenti, Torrenti, Fiumi, Laghi, danneggia la catena alimentare, fauna, flora e la salute umana.

    La Regione Basilicata copre solo circa il 6-8 % del fabbisogno nazionale di petrolio (2 settimane di consumo nazionale) e circa l’1,4 % del fabbisogno nazionale di gas (4 giorni di riscaldamento delle case degli italiani in inverno).

    Il resto l’Italia lo deve comprare.

    Oggi in Italia l’ACQUA, l’ORO BLUE, è davvero più preziosa del PETROLIO ?

    Oggi in Italia i PARCHI, l’ORO VERDE, sono davvero più preziosi del PETROLIO ?

    Solo la stupidità umana e l’avidità delle pochissime multinazionali può ipotecare l’ORO BLUE e l’ORO VERDE dell’intera Regione Basilicata.

    Per solo 2 settimane di consumo nazionale…

    Leggere tutto l’articolo, PARTE 2:

     02.09.2021

    Dr.Tatiana Mikhaevitch, Ph.D. in Ecology

    Academy of Sciences of Belarus, Member of the Italian Ecological Society (S.IT.E.)

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  • “Affare” PETROLIO. Punta dell’Iceberg. Basilicata. PARTE 1

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    Regione Basilicata

    Contenuto:

    1. Distruzione degli ecosistemi naturali

    2. Basilicata, il più grande serbatoio nazionale dell’acqua

        2.1. SORGENTI

    3. Concessioni petrolifere in Basilicata

        3.1. Fasi di lavorazione e sostanze chimiche

    4. Centro Olio Val d’Agri, C.O.V.A.

    5. Parchi della Regione Basilicata e conflitto con Pozzi

    6. FRACKING. MORIA DEI PESCI. CONSUMO DELL’ACQUA. SCARTI  

        PETROLIFERI. SORGENTI RADIOATTIVE

    7. Terremoti indotti, deformazioni e rotture dei Pozzi. Pozzi di re-iniezioni

    8. Smaltimento dei fanghi di perforazione

    9. Lago Pertusillo

    10. Analisi chimiche

    11.Contaminazione degli alimenti

    12. Pozzi petroliferi PERGOLA 1, TEMPA ROSSA, MONTEGROSSO

    13. IMPATTO DELLE TRIVELLE IN VAL D’AGRI SULLA SALUTE UMANA

    14. Casi legali in Basilicata

    15. Posizione ENI, Transizione ecologica, LOBBY del PETROLIO

    Bibliografia………………………………………………………………………………..147

    Abbreviazioni……………………………………………………………………………..158

    SUMMARY

    La Regione Basilicata è uno dei più importanti serbatoi di acque sotterranee e superficiali destinate al consumo umano della Nazione.

    La Regione Basilicata è anche il più ricco giacimento di idrocarburi d’Italia.

    Nel 2012 la Commissione Parlamentare ha evidenziato nella Regione Basilicata “… 890 siti inquinati censiti, la metà dei quali connessi alle attività di prospezione petrolifera”.

    Secondo i dati ufficiali dell’Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse (UNMIG), in 93 anni, dal 1921 al 31 dicembre 2014 in Basilicata sono stati perforati 484 Pozzi.

    Acqua e idrocarburi. La convivenza di queste 2 sostanze è incompatibile.

    L’attività petrolifera compromette la qualità delle acque.

    La Regione Basilicata ha un reticolo idrografico ricchissimo: 8 fiumi principali, solo nella Val d’Agri  ci sono 23 strutture idrogeologiche, 650 Sorgenti e 2 invasi d’acqua.

    Nella Regione Basilicata manca il Piano di Tutela delle Acque previsto dal Codice dell’Ambiente che permette alle compagnie petrolifere di fare altre richieste per trivellare nelle zone ricche delle preziose risorse sorgive e anche nei Parchi.

    Nel 2019 l’incidenza delle attività estrattive riguardava il 35 % del territorio della Regione Basilicata. In caso di accoglimento delle numerose istanze di permesso, l’incidenza passerebbe al 65 % del territorio !

    Nella Val d’Agri circa il 60 % delle aziende agricole lucane hanno chiuso la loro attività, in quanto i prodotti coltivati erano inquinati da idrocarburi e metalli pesanti (fragole, uva, olivi, peperoni, miele, latte, vino….)

    ENI è diventata il più grande proprietario terriero della Val d’Agri.

    Praticamente, tutta la Regione Basilicata è “coperta” dalle trivellazioni, ricerche, permessi di ricerca di idrocarburi sia in orizzontale che in profondità, considerando che le trivellazioni arrivano a forare la terra fino a 3-4-5-6-7 km.

    Durante la fase di perforazione dei Pozzi, per facilitare la penetrazione delle trivelle nel sottosuolo, vengono usate da 250 a 1’300 sostanze chimiche, secondo fonti diverse, dannose all’ambiente e all’uomo.   

    La loro composizione chimica è coperta da segreto industriale.

    Si tratta di fluidi iniettati che accompagnano l’intera vita del Pozzo, che inquinano per anni o decenni il sottosuolo, il suolo, le falde acquifere, producendo ogni giorno diverse tonnellate di fanghi di lavorazione, che devono essere smaltite.

    I Pozzi di estrazione idrocarburi attivi in Basilicata sono 126 di cui 43 in provincia di Potenza e 83 in provincia di Matera.

    In Val d’Agri ci sono 40 Pozzi per l’estrazione di petrolio, di cui 26 in produzione, e 1 Pozzo di Costa Molina 2 a Montemurro è destinato a re-iniezione fluidi (rifiuti di produzione petrolifera).

    Nel comune di Viggiano dove si trova il Centro Olio C.O.V.A. ricadono 20 Pozzi petroliferi.

    Tra gli inquinanti emessi dall’impianto C.O.V.A. ci sono NOx, SO2, CO e particolato, l’idrogeno solforato (H2S), i Composti Organici Volatili (V.O.C.).

    Durante il processo di idrodesolforizzazione nel Centro C.O.V.A. una parte di idrogeno solforato (H2S) viene dispersa nell’aria da un inceneritore a fiammella, che emettecirca altri 70 inquinanti. Le altezze dei pennacchi con cui le sostanze chimiche escono dai camini variano da 12 a 33 m, la temperatura da 395 a 1’083 °C, la velocità di uscita da 3,1 a 21,4 m/s.

    In Italia i limiti di emissione di H2S sono 5’000 volte superiori a quelli degli Stati Uniti:

    Organizzazione Mondiale della Sanità: 0,005 ppm di H2S

    USA: Il Governo Federale consiglia 0,001 ppm (ciascuno stato decide autonomamente)

    Massachussetts: 0,0006 ppm

    Oklahoma: 0,2 ppm

    California: 0,03 ppm

    Canada, Alberta:  0,02 ppm

    California: 0,03 ppm

    Canada, Alberta:  0,02 ppm

    ITALIA:  Industria non petrolifera – 5 ppm, Industria petrolifera – 30 ppm

    Il monitoraggio di questa sostanza in Val d’Agri avviene solo 2-3 volte l’anno.

    Oltre ai danni causati direttamente all’uomo, l’H2S ha effetti nocivi su fauna e flora tramite l’effetto di bio-accumulo.

    In 16 anni, dal 2001 al 2017, C.O.V.A. ha contaminato 26’000 m2 del suolo, pari al 15 % dell’area di 180’000 m2 che occupa, ha smaltito irregolarmente oltre 854’000 t di sostanze pericolose.

    In 7 anni, dal 2012 al 2019, nel Centro sono stati più di 100 incidenti, che sono stati sminuiti o taciuti da ENI.

    Il paradosso è che C.O.V.A. si trova in un’area naturalistica di pregio, una delle più importanti d’Europa.

    Le  aree naturali protette della Basilicata occupano circa il 30 % della superficie, con 120 aree protette organizzate in un sistema dei 3 Parchi Nazionali, 3 Parchi Regionali, 14 Riserve Naturali statali e regionali, 5 Oasi WWF, 82 SIC, ZSC e ZPS (Rete Natura 2000), 2 Zone Umide Ramsar, 9 aree IBA.

    Il Parco Nazionale del Pollino è il parco più grande d’Italia e considerato Patrimonio UNESCO.

    La storia dell’istituzione del Parco Nazionale Val d’Agri-Lagonegrese è stata fortemente influenzata dall’attività estrattiva.

    Qualcuno ha definito il Parco Nazionale della Val d’Agri-Lagonegrese il Parco della Val d’AGIP, per sottolineare la rapacità delle compagnie petrolifere che pretendono di effettuare attività estrattive dentro un Parco Nazionale.

    L’istituzione del Parco della Val d’Agri prevista nel 1991, è stata conclusa solo 16 anni dopo, l’8 dicembre 2007, a causa delle forti pressioni di alcune multinazionali petrolifere.   

    Si è passati da una prima proposta di perimetrazione pari ad un’estensione di circa 160’000 ettari all’attuale area frastagliata di 70’000 effettivi.

    56 % in meno, rispetto alla prima versione di perimetrazione.

    Tuttavia, nel 2017 ENI presenta la richiesta di nuova perforazione, nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Alta Val D’Agri-Lagonegrese, che risultava inammissibile nel rispetto della funzione di protezione del capitale naturale del Parco.

    Nei limiti della concessione Val d’Agri ricadono aree comprese nel Parco Nazionale Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese, nel Parco Regionale Gallipoli Cognato e Piccole Dolomiti Lucane.

    Il territorio della concessione Val d’Agri è caratterizzato dalla presenza di 11 siti di Rete Natura 2000 (SIC/ZSC/ZPS).

    Non esiste alcuna normativa italiana che definisce una distanza minima per l’esercizio di attività di estrazione petrolifera dai siti ZPS/SIC/ZSC/Parchi.

    Secondo i dati di Alberto Diantini dell’Università di Padova, il 60 % dei 40 Pozzi sono situate alla distanza di 0,88 km – 1,11 km da ZPS e dal Parco Nazionale Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese.

    Ad oggi 14 di 40 Pozzi si trovano all’interno del Parco Nazionale Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese.

    Emerge che il 47,5 % dei 40 Pozzi sono situati alla distanza da 0,66 km a 1,19 km dai bacini idrici, il 30 % dei 40 Pozzi – a 0,58 km da fiumi, laghi o Sorgenti, il 12,5 % dei Pozzi – fra 1,25 km e i 1,84 km da fiumi, laghi o Sorgenti, il 10 % – tra 1,97 km e 2,47 km da fiumi, laghi o Sorgenti.

    Secondo i dati di Alberto Diantini, la media distanza dei Pozzi petroliferi dalle aree SIC/ZSC è di 2,32 km, da ZPS1,93 km, dal Parco1,97 km, dai fiumi/laghi/Sorgenti0,98 km !

    Data la grande importanza dell’invaso del Pertusillo dal punto di vista dell’approvvigionamento idrico a scopo potabile, esiste il rischio serio sia per il mantenimento dei delicati equilibri ecologici dell’area sia per la salute umana.

    La Prof.ssa Geologo Albina Colella ha trovato nelle Sorgenti LaRossa 2 e LaRossa 3 situati a poco più di 2 km dal Pozzo di re-iniezione petrolifera Costa Molina 2, valori di alluminio 1’700 volte in più e gli idrocarburi totali 10 volte in più, rispetto ai valori normali nelle Sorgenti.

    Secondo la Prof.ssa Colella, “una potenziale fonte di contaminazione di queste acque potrebbe essere rappresentata da perdite di acque di scarto petrolifero dal Pozzo di re-iniezione Costa Molina 2, dovute a cedimenti della integrità strutturale del Pozzo e diffusione di tali acque nel sottosuolo e contaminazione delle acque sotterranee”.

    A circa 1,8 km dal Centro Olio di Viggiano si trova il Lago artificiale Pertusillo che fornisce l’acqua potabile alla Puglia e alla Basilicata. Ogni giorno 2’658’861 persone delle province di Bari, Taranto e Lecce bevono l’acqua proveniente dal Lago Pertusillo. Con la stessa acqua vengono irrigati 35’000 ettari di campi della Basilicata.

    Il Lago rientra nel Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese.

    I Pozzi di petrolio sono a meno di 1 km dal Lago e pescano a 4-5 km sotto la superficie.

    Nei pesci del Lago Pertusillo sono stati rinvenuti idrocarburi, PCB, metalli pesanti, microcistine. Nell’acqua e nei sedimenti del Lago sono stati rinvenuti idrocarburi, metalli pesanti, naftalene, diossine, PFOS.

    L’ARPAB ha censito la presenza di 21 metalli pesanti nelle acque del Lago, 5 dei quali passati indenni perfino agli impianti di potabilizzazione.

    Analisi e studi eseguiti sul territorio della concessione petrolifera dimostrano il forte inquinamento sia delle falde acquifere che degli invasi idrici, con la presenza di metalli pesanti in concentrazione superiore ai limiti europei, nonché un’anomala distribuzione di tumori e malattie cardiorespiratorie nell’area.

    Il problema c’è: il trascinamento degli inquinanti ambientali nella catena alimentare, ma su questo aspetto c’è troppa omertà di egoistica connivenza.

    Analizzando 12 Pozzi artesiani nel comune di Corleto Perticara, in vicinanza del giacimento Tempa Rossa, l’organizzazione ecologista C.O.V.A. CONTRO ha trovato:

          manganese 40 volte oltre il limite di legge;

          boro  – 1,6 volte oltre il limite;

          ferro 2,6 volte oltre il limite;

          nitriti – 6,25 volte oltre il limite;

          fluoruri – 2,8 volte oltre il limite;

          alifatici clorurati – 2,1 volte oltre il limite;

          cloroformio 146 volte oltre il limite;

          bromodicrolometano 7,5 volte oltre il limite;

          benzo(a)pirene – 2,5 volte oltre il limite.

    Gli effetti sulla salute, determinati dalle estrazioni petrolifere, sono ben noti essendo stati ampiamente studiati in varie località del mondo. Tali studi hanno dimostrato che le popolazioni residenti nel raggio di 500 m – 1 km dai Pozzi petroliferi hanno una incidenza maggiore sia di tumori, anche infantili, che di patologie croniche e malformazioni congenite.

    Nonostante in Nigeria in 50 anni sono stati perforati 606 Pozzi petroliferi che fanno l’80 % del PIL nazionale, il paese africano rimane uno dei più poveri.

    Nonostante 35 anni di estrazioni, anche la Basilicata rimane la regione più povera del sud e sicuramente una tra le più malate.

    Lo studio epidemiologico finanziato dai comuni di Viggiano e Grumento Nova realizzato su 6’795 residenti per il periodo 2000-2014 ha scoperto che le ospedalizzazioni per le malattie respiratorie croniche nelle donne erano 202 % in più e, negli uomini, erano 118 % in più, nelle zone di maggiore esposizione agli inquinanti, che uscivano in aria dai camini di C.O.V.A.

    Dalle analisi di mortalità è stato osservato un eccesso per le malattie del sistema circolatorio nelle donne +63 %, per uomini+donne  +41 % nelle zone di maggiore esposizione agli inquinanti, che uscivano in aria dai camini di C.O.V.A.

    La mortalità a Viggiano e Grumento Nova, rispetto a quella di 20 comuni della concessione Val d’Agri, ha evidenziato eccessi a Viggiano e a Grumento Nova  per tutte le cause + 19 % tra le donne e + 15 % per entrambi, invece per le malattie del sistema circolatorio + 32 % di cui + 45 % per malattie ischemiche del cuore tra le donne.

    Tra il 2011 e il 2014 il tasso di mortalità in un piccolo villaggio Corleto Perticara, che ha meno di 3’000 abitanti e che si trova a 4 km in linea d’aria dal Centro di Tempa Rossa e a 20 km da quello di Viggiano, era il 73 % più alto del tasso regionale e il 69 % più alto del provinciale.

    Tra il 2011 e il 2014 nella provincia di Potenza il tasso di ospedalizzazione per tumore maligno nei maschi tra 0 a 14 anni è cresciuto del 48 %, il tasso di dimissioni per chemioterapia era più alto rispetto al nazionale del 37 % per le bambine e del 59 % per i bambini.

    Nel 2017 circa 200 residenti dei comuni di Viggiano e Grumento Nova in Val d’Agri sono stati interrogati, riguardo la loro percezione dell’impatto del C.O.V.A. sulla salute umana.

    Risultava che tra le persone intervistate:

       95,9 %  ritenevano che C.O.V.A. è molto pericoloso per l’ambiente;

       98,6 % ritenevano che C.O.V.A. è molto pericoloso per la salute;

       86,1 % ritenevano che tutte le persone sono potenzialmente esposte ai potenziali rischi del C.O.V.A.;

       66,3 % ritenevano grave la situazione ambientale del comune di residenza;

       67,1 % ritenevano che è molto probabile avere allergie;

       72,1 % ritenevano che è molto probabile avere malattie respiratorie acute;

       57,1 %  ritenevano che è molto probabile avere malattie cardiovascolari;

       49,1 %  ritenevano che è molto probabile avere infertilità;

       74,4 % ritenevano che è molto probabile avere varie forme di cancro;

       69,5 %  ritenevano che è molto probabile avere leucemia;

       61,0 %  ritenevano che è molto probabile avere malformazioni congenite.

    61,6 % delle persone non si ritenevano sufficientemente informate sulla presenza dei pericoli nell’area in cui vivono.

    Nel 2020 la Fondazione Ambiente Ricerca Basilicata (FARBAS) nei limiti dello Studio EPIBAS, ha interrogato circa 600 persone, residenti nelle aree interessate dalle attività di estrazione petrolifera in Basilicata.

    Le persone intervistate hanno mostrato una percezione molto alta di pericolo alla salute, una insoddisfazione sull’informazione ricevuta e una bassa fiducia nell’affidabilità di media, associazioni, pubblica amministrazione in relazione alle informazioni sui pericoli ambientali.

    Lo Studio ha scoperto che:

    73,8 % delle persone intervistate che vivono vicino al centro C.O.V.A. e nella zona di trivellazione Tempa Rossa, ritenevano che l’estrazione petrolifera rappresenta un pericolo;

    solo il 26 % ritenevano affidabili le informazioni fornite da Regione Basilicata (Dipartimento di Salute, Dipartimento di Ambiente);  

    solo il 37 % ritenevano affidabili informazioni, fornite da aziende sanitarie locali;  

    solo il 24,4 % ritenevano affidabili informazioni fornite da ARPA;

    solo il 25 % ritenevano affidabili informazioni fornite da comuni;

    solo 22,6 % ritenevano affidabili informazioni fornite da ISPRA e ISS;

    solo il 17,4 % ritenevano affidabili informazioni fornite dall’Europa;

    solo il 19,8 % ritenevano affidabili informazioni fornite dal Governo;

    solo il 25,7 % ritenevano affidabili informazioni fornite da mezzi di comunicazione (TV/Radio/giornali).  

    Mentre ENI e TOTAL facevano finta di essere preoccupate per il fabbisogno energetico dell’Italia, per le ricadute sull’economia e l’occupazione, perché pagavano solo il 7 % di royalties (il 4 % se il petrolio è estratto in mare), per poter avere il permesso dal Governo di spremere la terra altrui e saccheggiare le risorse, quando in Venezuela le royalties al Governo sono l’85 %, in Norvegia80 %, in Bolivia ed Ecuador – oltre il 50 %, l’aria, il suolo, l’acqua, l’agricoltura, il turismo e la salute del popolo della Val d’Agri hanno avuto le ricadute drammatiche.

    L’estrazione petrolifera è una grave ipoteca sul futuro delle terre.

    L’unico futuro ecologico possibile per la Basilicata è il futuro delle energie rinnovabili.

    Le energie fossili e le trivellazioni sono il passato.

    “Affare” PETROLIO è come una punta dell’Iceberg la cui enorme ENTITÀ NERA distrugge ecosistemi naturali, comporta perdita di biodiversità e rischio di nuove malattie infettive, inquina l’area, il suolo, le acque superficiali e le sotterranee, di cui fanno parte le Sorgenti, Torrenti, Fiumi, Laghi, danneggia la catena alimentare, fauna, flora e la salute umana.

    La Regione Basilicata copre solo circa il 6-8 % del fabbisogno nazionale di petrolio (2 settimane di consumo nazionale) e circa l’1,4 % del fabbisogno nazionale di gas (4 giorni di riscaldamento delle case degli italiani in inverno).

    Il resto l’Italia lo deve comprare.

    Oggi in Italia l’ACQUA, l’ORO BLUE, è davvero più preziosa del PETROLIO ?

    Oggi in Italia i PARCHI, l’ORO VERDE, sono davvero più preziosi del PETROLIO ?

    Solo la stupidità umana e l’avidità delle pochissime multinazionali può ipotecare l’ORO BLUE e l’ORO VERDE dell’intera Regione Basilicata.

    Per solo 2 settimane di consumo nazionale…

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    01.08.2021

    Dr.Tatiana Mikhaevitch, Ph.D. in Ecology, Academy of Sciences of Belarus

    Member of the Italian Ecological Society (S.IT.E.), Member of the International Bryozoological Society (I.B.A.)

    Member of the International Society of Doctors for the Environment (I.S.D.E.), info@plumatella.it

    tatianamikhaevitch@gmail.com


  • S.I.N. “BUSSI sul fiume TIRINO”

    Fiume Tirino, Abruzzo

    Contenuto:

    1.Inquinamento delle acque da sostanze chimiche

    2.Fiumi Tirino e Pescara

    3.Polo Chimico a Bussi sul Tirino e a Piano d’Orta Bolognano – 100 anni di inquinamento

    4.S.I.N. Bussi sul Tirino e inquinamento

    5.Salute e inquinamento

    6.Battaglia legale e problemi di bonifica del S.I.N. Bussi sul Tirino

    SUMMARY

    Il fiume Tirino significa triplice sorgente. E’ uno degli affluenti del fiume Pescara che sfocia nel mare Adriatico. Il fiume Tirino è attraversato dal piccolo paese Bussi sul Tirino efa parte del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.

    In queste terre si trova la Riserva Naturale “Sorgenti del fiume Pescara” ricompresa nel SIC “IT7110097 Fiumi Giardino – Sagittario – Aterno – Sorgenti del Pescara” che anche l’Oasi della WWF. Sul fiume Pescara è stato istituito il SIC “IT7130105 Rupe di Turrivalignani e Fiume Pescara”.

    Tale territorio rappresenta la zona sorgentifera più importante della Regione di Abruzzo e di Europa.

    Bussi è stato da sempre considerato un sito comodo grazie all’acqua.

    Nel 1901 nel piccolo paeseBussi sul Tirino fu impiantata la fabbrica “Officine di Bussi sul Tirino”

    Durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale la fabbrica produceva iprite, arsine, fosgen, difosgen e lewisite.

    Finite le guerre, la fabbrica ha convertito la chimica militare in chimica civile, producendo coloranti, concimi sintetici, carburanti.

    Dalla fabbrica uscivano cisterne di cloro, cloroetani, ipoclorito, cloruro ammonico, piombo tetraetile, trielina, carburo di calcio, dicloroetano, acido monocloroacetico.

    Il Polo Chimico a Piano d’Orta Bolognano, vicino al fiume Orta, affluente del fiume Pescara, a 2 km dalla prima fabbrica, fu impiantato nel 1901 per produrre acido solforico. Negli anni successivi alle guerre la fabbrica si specializza nella produzione di concimi chimici e di fungicidi.

    Fino a tutti gli anni60 il sito industriale chimico di Bussi ha sversato una tonnellata al giorno di veleni residui della produzione nel fiume Tirino.

    I primi allarmi riguardo l’inquinamento del fiume Tirino arrivano negli anni 70: mercurio nei pesci, nel grano, nella vite, nell’olivo, piombo nel grano, nei semi, nell’olivo…

    Negli anni 70 l’inquinamento  sembra l’effetto collaterale  del lavoro: una distorsione necessaria che si deve accettare in quanto, il bene lavoro prevaleva su tutto”. 

    Il paese Bussi si è sacrificato all’altare del lavoro ricevendo in cambio un inquinamento senza pari.

    Un uomo solo si oppose all’inquinamento negli anni 70 – l’assessore all’Igiene e alla Sanità del comune di Pescara Giovanni Contratti. Fu un Don Chisciotte  in lotta contro i mulini a vento al Polo Chimico di Bussi con il mercurio. 48 anni fa pretese la bonifica.

    Dopo Contratti, si registra un vuoto di 35 anni fino a quando nel 2007 il Corpo Forestale  scopre la discarica con i rifiuti tossici. La discarica Tre Monti è stata definita la più grande discarica abusiva d’Europa. Costruita a 20 m dalla sponda del fiume Pescara, ad una profondità di circa 5-6 m la discarica conteneva circa 250’000 t di sostanze altamente inquinanti.

    Intorno alla discarica Tre Monti il phytoscreening dei tronchi di Populus sp. ha mostrato il superamento di alcune sostanze chimiche fino a 5’000 volte il limite ISS.

    Solo il cloroformio era fino a 3 milioni di volte più del consentito.

    Dante Caserta, Presidente del WWF Abruzzo, raccontò cosa avevano dichiarato i  tecnici dopo il sopralluogo nella discarica Tre Monti: “Siamo attoniti di fronte alle …. lastre di metri di spessore ed estese per decine di m2 di cristalli di sostanze tossiche; materiali di ogni colore immaginabile; tecnici che si sono sentiti male nonostante maschere e tute di protezione”.

    Più tardi vengono scoperte altre due discariche: “2A” e “2B”.

    Nella discarica della fabbrica di Piano d’Orta Bolognano sono stati interrati intorno a 30’000 m3 di rifiuti pericolosi alla profondità di 10 m.

    Il Sito d’Interesse Nazionale “Bussi sul Tirino” (S.I.N.) viene istituito il 24.07.2008. Il S.I.N. è ubicato sul territorio della Regione Abruzzo, nelle Province di Pescara e Chieti e comprende 11 comuni.

    Da bonificare sono 234 ettari.

    Sono 20 campi di calcio inquinati.

    Gli autori del 5o rapporto SENTIERI pubblicato nel 2019 scrivono che in “tutti i siti con eccessi di nefropatie (fra i quali Bussi sul Tirino, Crotone, Milazzo, Sulcis, Orbetello, Terni e Porto Torres) a fronte della presenza di contaminanti prioritari nefrotossici, andrebbero effettuate analisi sulla distribuzione delle nefropatie …, secondo la metodologia applicata nel contesto di Taranto.

    Uno studio nel 2018 su campioni di urina della popolazione residente a Bussi da almeno 10 anni haconfermato la presenza delle sostanze inquinanti nelle zone delle discariche.

    Per più di 100 anni Montedison e funzionari pubblici non si sono limitati a inquinare la Val Pescara. Hanno falsificato le analisi, occultato documenti, eluso i controlli. Hanno causato “un disastro ambientale di immani proporzioni”, scriveva  il sostituto Procuratore della Repubblica Aldo Aceto. I reati contestati: avvelenamento delle acque, disastro doloso, commercio di sostanze contraffatte o adulterate, delitti dolosi contro la salute pubblica, turbata libertà degli incanti e truffa.

    Il 6 aprile 2020 un’interminabile battaglia legale durata 13 anni, nota come Processo di Bussi” è arrivata alla conclusione definitiva, con emanazione della Sentenza del Consiglio di Stato che ha definitivamente deciso che la bonifica deve essere eseguita da chi ha inquinato, la Edison. La Edison che prevede però solo il capping, intombamento, per ridurre costi, e che non ha mai voluto parlare di bonifica…

    Resta incompiuta la bonifica del territorio e l’applicazione del sacrosanto principio del chi ha inquinato paghi.

    Resta ancora da applicare il sacrosanto principio della società civile di proteggere, di non inquinare le zone sorgentizie e le zone acquifere più importanti dell’Abruzzo e d’Europa.  

    La “pistola fumante”, l’inquinamento che dura da più di 100 anni, continua ad inquinare.

    Il Patrimonio Idrico, le zone sorgentizie, le falde acquifere devono essere difese.

    L’acqua deve essere tutelata dalle industrie senza scrupoli.

    22.08.2020

    Dr.Tatiana Mikhaevitch, Ph.D. in Ecology, Academy of Sciences of Belarus, Member of the Italian Ecological Society (S.IT.E.), Member of the International Bryozoological Society (I.B.A.), Member of the International Society of Doctors for the Environment (I.S.D.E.), info@plumatella.it, tatianamikhaevitch@gmail.com

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  • S.I.R. “Fiumi Saline e Alento”

    Sorgente “Cascata del Vitello d’Oro”, Gran Sasso, Abruzzo

    S.I.R. “Fiumi Saline e Alento”

    Contenuto:

    1. Fiumi Saline e Alento
    2. Sito di bonifiche di Interesse Nazionale S.I.N.“Fiumi Saline-Alento”
    3. Qualità ecologica dei fiumi della Regione Abruzzo
    4. Inquinamento dei fiumi Saline e Alento

       SUMMARY

    Secondo il WWF, Marelibero e Abruzzo Social Forum i fiumi Saline e Alento, che scorrono nella Regione Abruzzo e confluiscono nel Mare Adriatico, sono in una crisi ambientale quasi senza ritorno.

    Alla foce del fiume Saline tempo fa si fermavano uccelli migratori e stanziali. Nel 2002 la foce è diventata l’Oasi della WWF, tutelando circa 40 ettari lungo il fiume Saline. Oggi l’Oasi è stata abbandonata a causa del degrado sociale dell’area.

    Il Ministero dell’Ambiente con Decreto Ministeriale del 3 marzo 2003 ha perimetrato il Sito di Bonifiche Nazionale, S.I.N. “Fiumi Saline e Alento”, a causa di inquinamento dei tratti terminali e di numerosi scarichi abusivi. L’area si estende per 1’132 ettari su 8 comuni. Il 19.05.2014  il S.I.N. è stato declassato in Sito di Interesse Regionale “Fiumi Salente e Alento” (S.I.R.).

    Se una volta alla foce del fiume Saline  c’era l’Oasi WWF, adesso ad un passo dal fiume sorge la discarica di Villa Carmine, diventata uno sversatoio di rifiuti. Siringhe, cumuli di rifiuti, abbandono, degrado della foce del Saline. Una discarica a cielo aperto, presa di mira da tossicodipendenti, da ditte che lungo il fiume scaricano illegalmente  rifiuti. Un’autentica bomba ecologica, con rifiuti sotterrati e gettati lungo le sponde del fiume.

    Nel perimetro del S.I.R. del fiume Saline l’attività antropica si caratterizza di 111 aziende, invece nel perimetro del S.I.R. del fiume Alento sono attive 27 società.

    Nei fiumi Saline e Alente sono stati trovati nei terreni, nelle acque superficiali e sotterranee, nei sedimenti fluviali e marini PCB e diossine, metalli pesanti,  idrocarburi e solventi, solfati, IPA, sostanze azotate, fitofarmaci, ftalati. Tanti inquinanti si caratterizzano di bioaccumulo negli organismi e di biomagnificazione lungo la catena alimentare.

    I fiumi Saline e Alento stanno subendo un effetto domino a causa dell’inquinamento dovuto alle eccessive attività antropiche, allo scarico illegale dei liquami nei fiumi, all’interramento mostruoso dei rifiuti pericolosi sulle rive, – tutto ciò ha portato agli squilibri ecosistemici, al danneggiamento degli habitat di moltissime specie, all’abbandono dell’Oasi  WWF “Foce del Saline” e, alla fine, al degrado degli ecosistemi dei fiumi.

    A fine 2019 S.I.R. “Fiumi Saline e Alento” e la discarica di Villa Carmine continuano ad essere una terra di nessuno, in permanente stato di abbandono. Una bonifica attesa da oltre 25 anni.

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    19.06.2020

    Dr.Tatiana Mikhaevitch, Ph.D. in Ecology, Academy of Sciences of Belarus, Member of the Italian Ecological Society (S.IT.E.), Member of the International Bryozoological Society (I.B.A.), Member of the International Society of Doctors for the Environment (I.S.D.E.), info@plumatella.it, tatianamikhaevitch@gmail.com


  • S.I.R. “Basso Bacino del Fiume Chienti”

    Contenuto:

    1. La regione Marche e le sue ricchezze naturali

    2. Valle del fiume Chienti

    3.S.I.R. “Basso Bacino del fiume Chienti”

    4. Le cause dell’inquinamento del fiume Chienti

    SUMMARY

    La regione Marche è famosa per la grande varietà naturale del paesaggio. Il suo patrimonio naturalistico è imponente: 2 parchi nazionali, 4 parchi regionali, 6 riserve. Sono gioielli naturali dove crescono moltissime specie di vegetazione e abita numerosa fauna.

    La regione Marche è ricca d’acqua: conta 16 laghi e circa 50 fiumi, tra principali e tributari. La regione conta 33 bacini idrografici, tra cui il fiume Chienti è tra i maggiori. Malgrado la bellezza paesaggistica della Valle Chienti,  il fiume Chienti è uno dei più inquinati della regione, tanto che nel 2001 il suo bacino è stato incluso nella lista dei Siti di Importanza Nazionale per la bonifica, S.I.N. “Basso Bacino del fiume Chienti”, declassato poi nel 2013 in S.I.R., di Importanza Regionale. Nella zona abitano 208’909 persone.

    Il fiume Chienti nasce dalla catena degli Appennini presso il Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Si estende su una superficie di 1’298 km2 per una lunghezza di circa 91 km. Il fiume sfocia nel Mare Adriatico tra i comuni di Civitanova Marche e Porto Sant’Elpidio.

    L’intero bacino del fiume Chienti è sfruttato intensivamente per la produzione di energia elettrica che alimenta 7 centrali idroelettriche.  

    L’inquinamento del Basso Bacino del fiume Chienti è stato scoperto nel 1992 per un totale di 26 km2 e interessa 5 comuni.

    Dal 2002 in 4 anni il numero di siti inquinati nella regione Marche è aumentato di 5,4 volte: 2002 – 78, 2004 – 136, 2006 – 422 siti.

    Principali responsabili del diffuso inquinamento dell’area della bassa valle del fiume Chienti sono le numerose aziende del settore calzaturiero che hanno utilizzato composti organo-alogenati sversati poi sul suolo, nel sottosuolo e nelle acque di falda.

    Durante i monitoraggi eseguiti dall’ARPAM, il fiume Chienti era stato suddiviso nei tratti: Alto, Medio e Basso Chienti. Il Basso Chienti presentava i valori maggiori in tutte e tre le fonti di pressione (civile, industriale e zootecnica).

    Nel 94 % dei casi l’inquinamento del basso tratto del bacino idrografico Chienti è causato dall’uso agricolo e zootecnico delle zone vicine al  fiume Fiastra, nello 0,04 % – dal fiume Chienti (nitrati, nitriti, pesticidi), dagli scarichi civili di alcuni comuni. Solo una piccola percentuale dell’inquinamento  è dovuta all’uso industriale che rilascia però nel fiume una quantità di sostanze pericolose, come idrocarburi alifatici clorurati, metalli pesanti (zinco, nichel, rame, ferro, manganese), PCB, IPA, DDT, DDD, DDE,  sufficiente per causare moltissime malattie e patologie della popolazione.

    Dopo quasi 30 anni di inquinamento  aumentano le morti e le malattie.

    Nel 2011 lo Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento dell’Istituto Superiore di Sanità  “SENTIERI” evidenzia nelle Marche, in particolare, a Falconara Marittima, Civitanova Marche, Montecosaro, Morrovalle e S. Elpidio a Mare, nel Basso Bacino del fiume Chienti, un ruolo causale di metalli pesanti (piombo, mercurio), IPA e di solventi organo-alogenati nell’incremento delle patologie dell’apparato genito-urinario negli uomini, di malattie del sistema circolatorio nelle donne, delle insufficienze renali, delle malattie neurologiche, eccesso della mortalità perinatale nei bambini minori di un anno.

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    23.04.2020

    Dr.Tatiana Mikhaevitch, Ph.D. in Ecology, Academy of Sciences of Belarus, Member of the Italian Ecological Society (S.IT.E.), Member of the International Bryozoological Society (I.B.A.), Member of the International Society of Doctors for the Environment (I.S.D.E.), info@plumatella.it, tatianamikhaevitch@gmail.com


  • L’inquinamento del fiume Sarno

    Una delle sorgenti del fiume Sarno  Castellammare di Stabia, foce del fiume Sarno

    Contenuto:

    1. S.I.R. “Bacino idrografico del fiume Sarno”
    2. LE CAUSE DELL’INQUINAMENTO DEL FIUME SARNO
    3. STUDI SULL’INQUINAMENTO DEL FIUME SARNO
    4. PROBLEMATICHE SANITARIE ED EPIDEMIOLOGICHE
    5. Nel fiume dei rifiuti non abiteranno mai trote e anguille

    SUMMARY

    Il fiume Sarno è un torrente lungo 24 km, che attraversa 3 province della Campania, Salerno (54 %), Napoli (29 %)e Avellino (17 %), 39 comuni, dove abitano tra 750’000 e 1 milione di abitanti. Il reticolo idrografico del fiume Sarno è arricchito da un gran numero di affluenti secondari, per uno sviluppo lineare complessivo di circa 1’630 km. Il fiume Sarno sfocia nel Golfo di Napoli.

    La conferenza sui fiumi meno salubri del pianeta, tenutasi a settembre del 2018 a New York, ha inserito il fiume Sarnotra i 20 più inquinati al mondo”. Qui scorre di tutto, secondo i dati CNR: acqua, cromo, cadmio, piombo, rame, nichel, vanadio, arsenico, zinco, manganese, ferro, tetracloroetilene, policlorobifenili, idrocarburi, pesticidi e perfino cocaina

    L’inquinamento del fiume mina la salute dei cittadini, inficiando negativamente sull’economia agricola del luogo.

    Dal 1915 ad oggi il fiume ha conosciuto il suo periodo più nero.

    La bonifica del fiume Sarno è partita nel 1973.

    Nel maggio del 1976 entrò in vigore la legge Merli contro l’inquinamento delle acque.

    Dal 1988 il bacino del fiume Sarno era stato dichiarato “area ad alto rischio della crisi ambientale” da parte del Ministero dell’Ambiente.

    Nel 1995 viene dichiarato lo stato di “Emergenza socio-economica-ambientale” del fiume Sarno.

    Il Sito di Interesse Nazionale Bacino Idrografico del Fiume Sarno è stato inserito tra i Siti da bonificare d’Interesse Nazionale con Legge del 23 dicembre 2005 n. 266.  A seguito della declassificazione l’11 Gennaio 2013 le competenze del SIN Bacino Idrografico del Fiume Sarno sono state trasferite alla Regione Campania.

    Nel 2018 un Rapporto del Senato dei Deputati ha confermato che la situazione del bacino idrografico del fiume Sarno rappresenta ancora una grave e seria criticità ambientale della regione Campania. Dalla prima bonifica del corso d’acqua programmata nel 1973 sono trascorsi 45 anni ma non è cambiato nulla. Ancora oggi le acque reflui non depurate di oltre un milione di abitanti gravano sul fiume Sarno.

    Il degrado del fiume Sarno è l’esempio più evidente della scarsa applicazione in Italia delle norme riguardanti la tutela ambientale, la difesa delle acque dall’inquinamento. Il fiume Sarno è da tutti considerato un comodo sversatoio di rifiuti, sia dalle fabbriche che dagli agricoltori e, fatto più grave, dai privati cittadini.

    Secondo il rapporto della Commissione Parlamentare del 12 aprile 2006,  lo stato di gravissimo degrado del bacino del fiume Sarno è dovuto alla combinazione di tre principali tipi di inquinamento:

    industriale derivato dall’assenza di idonei impianti di depurazione per il trattamento degli scarichi non trattati degli stabilimenti conciari, conservieri, cartari, tessili, tipografici;

    agricolo, derivato dall’uso indiscriminato di fertilizzanti chimici, fitofarmaci, diserbanti;

    urbano, dovuto all’assenza di rete fognarie, ai pozzi neri disperdenti e allo sversamento di reflui non depurati nelle acque del Sarno.

    Una volta nel fiume abitavano i pesci il muggine, la trota e l’anguilla.

    Secondo il Rapporto della Commissione Parlamentare del 2006, sarebbero oltre 200 le industrie conciarie concentrate nel territorio solofrano. L’ inquinamento degli scarichi conciari è dovuto essenzialmente a elevato carico organico, solfuri, solfati, cloruri, tensioattivi, sali ammoniacali, sali di cromo o altri minerali, fenoli, solidi sospesi, etc.

    Le imprese conserviere sono invece circa 90. Sono concentrate nell’Agro Nocerino-Sarnese. Il fiume negli anni si è poi guadagnato il soprannome di “Rio Pomodoro”.

    L’ARPAC (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale in Campania) ha mostrano che su tutto il tragitto del fiume Sarno per il periodo 2003-2004 gli scarichi civili sono più alti di 3 volte di quelli industriali.

    La storia del bacino del fiume Sarno è la catastrofe silenziosa che va avanti da oltre 40 anni alimentata dall’omertà di politici, amministratori, magistrati che sapevano e per interessi, distrazione, inerzia hanno scelto di tacere.

    Ancora nel 1997 un Rapporto OMS segnalava nella zona del fiume Sarno un indice di mortalità per cancro e leucemia superiore del 17 % rispetto ad altre zone del mondo.

    I dati di alcuni studi concentrati sulla provincia di Salerno, nella zona di “Pentagono della morte, Scafati – Angri – Nocera Inferiore/Nocera Superiore – Siano – Sarno, confermanola prevalenza di malformazioni in siti altamente inquinati.  Nella zona del fiume Sarno l’incidenza delle malattie cerebro-vascolari è cresciuta del 20 %. L’incidenza del linfoma non Hodgkin è cresciuta del 53 %, che si può attribuire all’uso di pesticidi. L’incidenza di patologie come il morbo di Parkinson, l’Alzheimer e l’autismo si registra omogeneamente lungo tutta la tratta inquinata del fiume Sarno. 

    Nella foce del fiume Sarno la costa è severamente degradata, dove l’acqua, secondo la legge, non è più balneabile. Nel 2003 il fiume Sarno riversava nel Golfo di Napoli 54’000 litri/minuto di veleni e 300’000 colibatteri per decilitro (30 volte superiore dello standard legale!). A causa di alta carica batterica queste acque possono diffondere tifo, salmonellosi ed epatite virale.

    È desolante pensare che le stesse acque che in passato hanno svolto una funzione primaria come sorgente di acqua potabile, indispensabile non soltanto per l’uomo ma anche per gli animali, l’irrigazione dei campi e per la fauna dello stesso fiume, siano oggi una fogna naturale che rende impossibile la vita ai cittadini. 

    Fino agli anni ‘60 nelle acque del fiume Sarno abitavano trote e anguille…

    Oggi, a causa degli sversamenti delle fogne, delle concerie e industrie conserviere presenti lungo il corso del fiume e dei suoi affluenti, non esiste più alcuna forma di vita nel Sarno e l’acqua non può essere utilizzata perché pericolosa per la salute.

    Finora il problema dell’inquinamento del fiume Sarno rimane irrisolto.

    E’ un vero dramma dei cittadini che devono preoccuparsi di ciò che mangiano, bevono, respirano, perché non si può vivere dove si è costretti a scegliere tra la salute e un posto di lavoro.

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    22.02.2020

    Dr.Tatiana Mikhaevitch, Ph.D. in Ecology Academy of Sciences of Belarus, Member of the Italian Ecological Society (S.IT.E.), Member of the International Bryozoological Society (I.B.A.), Member of the International Society of Doctors for the Environment (I.S.D.E.), info@plumatella.it, tatianamikhaevitch@gmail.com


  • S.I.N. “Bacino del Fiume Sacco e Valle del Sacco”

    S.I.N. “Bacino del Fiume Sacco e Valle del Sacco”, Italia

    Contenuto:

    1. Il Danno Ambientale in Italia

    2. Valle e il fiume Sacco

    3. Polo Industriale e l’inquinamento della Valle del Sacco

    4. Industria BPD, Bombrini Parodi Delfino

    5.COLLEFERRO, Polo Industriale

    6. Studi sull’inquinamento della Valle del Sacco

    7. SIN “Bacino del Fiume Sacco a Valle del Sacco”

    8. Salute degli abitanti e l’inquinamento della Valle del Sacco

    SUMMARY

    Nel 2017 per la prima volta la Sesta Conferenza Ministeriale Ambiente e Salute dei 53 Paesi Europei, svoltasi a Ostrava, Repubblica Ceca, ha incluso il tema dei siti contaminati fra le priorità di sanità pubblica. E’ stata stimata la presenza di circa 342’000 siti contaminati in Europa, dei quali solo il 15 % sottoposto a interventi di risanamento ambientale.

    Nel 2019 per la prima volta in Italia ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)ha presentato un resoconto nazionale delle istruttorie tecnico-scientifiche aperte nel biennio 2017-2018 su incarico del Ministero dell’Ambiente. “Si definisce danno ambientale un deterioramento significativo e misurabile, provocato dall’uomo, ai suoli, alle specie, agli habitat e alle aree protette, alle acque superficiali (fiumi, laghi, mare) e sotterranee”, – definisce ISPRA.

    Dal rapporto dell’ISPRA risulta che nel 28 % dei casi giudiziari il danno ambientale è stato fatto dagli impianti industriali, nel 30 % dei casi dagli impianti di gestione rifiuti e nel 10 % dei casi dalle discariche abusive. Tra le sostanze inquinanti il 19 % comprendevano i composti volatili e il 27 %metalli. Nel 23 % dei casi è stato danneggiato il terreno e le acque sotterranee, rispettivamente, e nel 21 % dei casi – le acque interne.

    Di allarme idrico si parla da diversi anni. Lo studio dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente per il triennio 2003/2005 ha riscontrato nelle acque di fiumi e laghi italiani 112 pesticidi e altri 48 nelle acque di falda. Alcuni fiumi hanno una lunga storia di inquinamento, come i fiumi italiani Sacco, Aniene, Pescara, Lambro, Oliva, Salina, Sarno… Alcuni fiumi hanno un inquinamento accumulato per oltre 100 anni.

    Questa è la storia della Valle del Sacco, del fiume Sacco e del suo disastro ambientale.

    Il fiume Sacco, lungo circa 80 km, scorre nella regione Lazio. La Valle del Sacco, storicamente nota come Valle Latina, occupa c.a. 7’000 ha tra Roma e Frosinone. È il territorio comunemente denominato Ciociaria.

    Il fiume Sacco risulta contaminato per tutta la lunghezza del suo corso. 

    L’inquinamento del fiume Sacco riguarda mezza regione Lazio.

    L’ecosistema del fiume Sacco viene distrutto dal primo centro abitato che incontra, Colleferro, dal 1912 Polo Industriale.

    Nel 1912 a Colleferro è stata fondata l’industria bellica, la BPD (Bombrini Parodi Delfino), che nel dopo guerraestese la sua produzione nelle divisioni della chimica, ferroviario, tessile. Al 30 ottobre 1976 le unità industriali a Colleferro ammontavano a 138 fabbriche.

    Negli anni 1976-1978 uno studio eseguito da CNR di Roma, analizzando i settori di produzione, bellico, chimico e ferroviario degli stabilimenti BPD, ha rilevato, tra le altre criticità, sversamenti esterni di liquami e rifiuti industriali nei bacini idrici del fiume Sacco e in discariche abusive.

    Dagli anni ‘60 agli anni ‘90 fu vivo il contrasto tra coltivatori e allevatori della Valle del Sacco ele industrie che contaminavano l’ambiente danneggiando l’attività agricola, in quanto si servirono sia per il prelievo dell’acqua che per lo scarico dei rifiuti delle stesse risorse idriche, del fiume Sacco.

    In quegli anni i principali settori del Polo Industriale di Colleferro, bellico, chimico e ferroviario, hanno comportato ripercussioni devastanti sull’intera Valle del Sacco, provocando danni indelebili al settore agricolo e contaminazioni nella catena alimentare e negli esseri umani.

    Il problema dell’inquinamento  della Valle del Sacco viene intuito solo nel 1978. La cultura del rispetto dell’ambiente in Italia è appena nata. Ma non era ancora forte per poter far sentire la voce dell’Ecologia  contro grandi  gruppi industriali  che assicuravano centinaia posti di lavoro.

    Nel 2005è stato istituito il Sito di Interesse Nazionale di Bonifica, Bacino del Fiume Sacco a Valle del Sacco”, che attualmentecoinvolge 19 comuni e 79 aree industriali lungo i 80 km del fiume Sacco, da Colleferro fino alla confluenza con il fiume Liri, dove abitano 207’000 residenti.

    Gli studi eseguiti negli ultimi decenni sull’inquinamento della Valle hanno rilevato tra le 80 sostanze riconducibili alle attività antropiche che hanno interessato il Colleferro e la Valle del fiume Sacco esaclorocicloesano, DDD, DDT, DDE, diossina, PCB, solventi, cromo VI, toluene, cianuro, tensioattivi, tricloroetilene, perclorato di ammonio, nitroguanidina, butadiene etc.

    Si scopre che per la maggior parte l’inquinamento della Valle del fiume Sacco era dovuto alla sostanza beta-esaclorocicloesano (β-HCH), un residuo della produzione del lindano, un insetticida usato in agricoltura fino al 2001, anno in cui è stato messo al bando in Italia e in altri 50 paesi firmatari della Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti.

    Il β-HCH non è biodegradabile, a pH8 e basse temperature l’emivita viene stimata in circa 40 anni. Si accumula nei terreni, nei sedimenti, nell’acqua. Gli scarichi industriali hanno contaminato i fossi, il fiume, le falde superficiali, i pozzi degli abitanti. Attraverso l’acqua il β-HCH era entrato nella frutta, negli ortaggi, nel fieno, nel sangue degli esseri umani.

    Alcuni studi ritengono che l’inquinamento ambientale della Valle del fiume Sacco potrebbe superare quello contestato intorno all’ILVA di Taranto.  

    Secondo lo Studio SENTIERI del 2019 nella Valle del Sacco esiste un eccesso di patologie dell’apparato cardiovascolare, un eccesso di mortalità per tumori del sistema linfoematopoietico, al sistema nervoso centrale, si aggiungono poi le malattie respiratorie. Il rapporto indica che “… la contaminazione umana è persistente”.

    L’associazione Re.Tu.Va.Sa., fondata per la Tutela della Valle del Sacco, sottolinea: “Molti credono ancor oggi che lo sviluppo di Colleferro debba essere molto grato alla produzione bellica… Non pochi, per fortuna, ribattono che non è mai giustificabile scambiare il posto di lavoro con il sangue di altri popoli, tacendo tra l’altro dei problemi ambientali apportati dall’industria bellica al nostro territorio… E’ essenziale continuare a far crescere una memoria storica robusta, critica e consapevole… Intendiamo mantenere viva l’attenzione su queste tematiche e sollecitare nuovi filoni di ricerca, proponendo a studiosi e attivisti di sviscerare i risvolti storici, occupazionali e sociali delle aziende che hanno lasciato segni dolorosi e negativi nel nostro passato e che continuano a rischiare di inquinare eticamente e ambientalmente il nostro futuro”.

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    5.12.2019

    Dr.Tatiana Mikhaevitch, Ph.D. in Ecology, Academy of Sciences of Belarus, Member of the Italian Ecological Society (S.IT.E.), Member of the International Bryozoological Society (I.B.A.), Member of the International Society of Doctors for the Environment (I.S.D.E.), info@plumatella.it, tatianamikhaevitch@gmail.com


  • S.I.N. Laghi di Mantova e Polo Petrolchimico

    Gruccione – Merops apiaster

    SUMMARY

    Contenuto:

    1. Inquinata eredità dell’Industria Petrolchimica

    2. Mantova, Patrimonio UNESCO e Parco Naturale del fiume Mincio

    3. SIN Laghi di Mantova e Polo Petrolchimico 

    4. Inquinamento dei Laghi e del Fiume Mincio dal Polo Petrolchimico

    5. Impatto dell’inquinamento sulla salute della popolazione

    6. Impatto ambientale del Polo Chimico di Mantova

    Nel 2010 Paolo Rabbiti, ingegnere e consulente tecnico di magistrati e pubbliche amministrazioni in un articolo parlava dei pesanti danni ambientali provocati dai Poli Petrolchimici. Dal suo punto di vista, i Petrolchimici sono tutti uguali. Rabitti si è interessato dei Petrolchimici di Marghera, Mantova, Brindisi, Porto Torres e Assemini, dell’ACNA di Cesano Maderno, della Solvay di Ferrara, della Syndial di Pieve Vergonte e della Caffaro di Brescia, evidenziando come le stesse aziende trovano un’area vicino alla fornitura dell’acqua, e fanno avviare la produzione dei prodotti petrolchimici. Per un certo periodo l’impianto chimico produce la ricchezza e l’occupazione. Ma poi lasciano in eredità un pesante inquinamento ambientale e le malattie tra gli operai e la popolazione.

    Nel 2018 l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha pubblicato l’ultimo aggiornamento allo Studio SENTIERI secondo il qualenelle aree ad alto inquinamento intorno a 45 Siti di Interesse Nazionale da Bonificare (SIN) esiste un eccesso di mortalità tra il 4 e il 5 %.

    Quasi tutti i siti inquinati sono ancora in attesa di una bonifica ambientale.

    Secondo l’epidemiologo Pietro Comba, responsabile scientifico dello Studio SENTIERI, quasi sempre nei casi delle malattie intorno ai siti inquinati, esiste una connessione forte alle cause ambientali.

    A destare molta preoccupazione sono i dati sulla salute dei più giovani. Nella fascia di età tra 0 e 24 anni, infatti, la diffusionedei tumori è maggiore del 9 % nei SIN rispetto alle aree non a rischio. L’incidenza è più alta del 66 % per le leucemie mieloidi acute, del 62 % per i sarcomi dei tessuti molli e del 50 % per i linfomi non Hodgkin. Dallo Studio SENTIERI risulta che 10 SIN su 15 analizzati nel periodo 2002-2014/2015 avevano malformazioni alla nascita.

    Mantova, la raffinata città, dal 1300 al 1600 governata da Gonzaga, si adagia sulle rive del fiume Mincio, e si affaccia sul Parco Naturale del Fiume Mincio,  l’area protetta della Lombardia, estesa dal lago di Garda alla confluenza nel fiume Po. Il Parco ospita la Riserva Naturale Castellaro Lagusello, la Riserva Naturale Bosco Fontana, la Riserva Naturale Vallazza (Rete Natura 2000, ZPS e SIC) e la Riserva Naturale Valli del Mincio (Rete Natura 2000, Zona Ramsar, ZPS e SIC). Il notevole valore naturalistico della Riserva è comprovato dalla presenza di 279  specie vegetali, 290 specie di invertebrati, 174 specie di uccelli tra stanziali, migratrici e svernanti, di cui 113 specie hanno nidificato nel Parco.

    Sfruttando l’ideale collocazione costituita dalle anse del fiume Mincio, sulla riva destra del fiume negli anni ’40 è stato costruito un complesso industriale il più grande d’Italia: il Polo Petrolchimico che occupa la superficiedi 3,5 km2. Il Polo Petrolchimico includeva: raffinerie, le ditte che producevano stirolo, fenolo, acetone, idrogenati, cloro, soda, alchifenoli, componenti per industria chimica, le ditte che vendevano i gas tecnici, il carburante, qua si collocavano discariche, inceneritori, centrali termoelettriche etc.

    Nel 2002 il Polo Chimico è stato inserito nel Programma Nazionale di Bonifica come il SIN di Mantova, completamente incluso nel Parco Regionale del Fiume Mincio.

    “… risale al 1973 una prima indagine sui sedimenti dei laghi e di alcuni tratti del fiume Mincio, …, …. vengono trovate elevate concentrazioni di mercurio”, – ha scritto ISPRA in uno dei suoi rapporti nel 2009. Solo quasi 30 anni dopo dai primi studi sull’inquinamento, è stato istituito il sito SIN di bonifica del Polo Chimico.

    Le indagini eseguite da ARPA Mantova, ARPA Lombardia, dall’ISPRA, dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, hanno confermato

    – elevata contaminazione da idrocarburi leggeri e pesanti, composti organici aromatici (BTEX), metalli (mercurio), PCB e diossine/furani nel Sottosuolo;

    – elevata contaminazione da idrocarburi totali, composti organici aromatici (BTEX), stirene e cumene, MTBE ed ETBE, composti organo-alogenati e metalli nella Falda acquifera;

    elevata contaminazione da idrocarburi pesanti, metalli (mercurio) e diossine nei Sedimenti presenti sul fondo dei canali, del fiume Mincio, delle aree umide.

    In base alle ricerche guidate da Paolo Ricci, Direttore dell’Istituto Epidemiologico di Mantova, è stato scoperto che “le concentrazioni di diossine nel sangue della popolazione mantovana aumentano progressivamente a mano a mano che ci si avvicina alla fonte inquinante, il Petrolchimico”.

    L’ARPA e la Commissione Parlamentare nei loro rapporti giungono alla conclusione che la concentrazione elevata dei prodotti chimici costituisce una sorgente primaria che genera in falda un pennacchio di contaminazione diretto verso le aree umide e il fiume Mincio.

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    11.10.2019, Dr.Tatiana Mikhaevitch, Ph.D. in Ecology Academy of Sciences of Belarus, Member of the Italian Ecological Society (S.IT.E.), Member of the International Bryozoological Society (I.B.A.), Member of the International Society of Doctors for the Environment (I.S.D.E.), info@plumatella.it, tatianamikhaevitch@gmail.com